Queste righe ‘sparse’ che seguono nascono casualmente. Carlo m’invia un suo testo non ancora concluso con la preghiera di leggerlo. M’incuriosisco alla sua storia e proprio mentre la leggo mi sento spettatore dei fatti narrati. Così, quasi per gioco i miei polpastrelli iniziano a battere repentinamente sulla tastiera sino a (ri)scrivere la stessa vicenda con gli occhi di qualcuno che osserva. Le mando al Carlo e lui, preso da non so quale estro, decide di fondere i due testi. Ne esce qualcosa di speciale seppure si tratti di una storia semplice. Storia di uomini e storia di rocce. Storia di sogni che si realizzano e storia quotidiana fatta di piccoli gesti.
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REGALO DI COMPLEANNO
di Matteo Bertolotti e Carlo Piovan - Febbraio 2010
Questa storia inizia in una piccola osteria di paese.
Questa storia racconta di bottiglie che danzano freneticamente con bicchieri sempre vuoti.
Il Carlo ha la meglio su tutti. Le sue storie condite di salsedine son sempre le stesse ma ogni volta che qualcuno lo sente farneticare ne resta affascinato.
La serata scivola via come il vino nella gola e il Carlo con un passo da contrabbandiere scala
frettolosamente l’asfalto per raggiungere la branda dove anche questa notte si farà cullare dai suoi fantasmi.
A volte capitano cose che non si riescono nemmeno ad immaginare, nonostante la giornata inizi sottotono, magari avvolta in dubbiose nebbie che rilasciano quel giusto tasso di umidità che minano l’entusiasmo con cui ti sei alzato dal letto con ancora con il gusto del vino rosso della serata appena trascorsa; e ti chiedi se non facevi meglio a rimanertene sotto il caldo delle coperte.
Alla mattina il sole non vuol saperne di riscaldare l’aria e spazzare vie le nebbie. Il giovane Carlo decide che è ora di scacciare l’inverno dalle sue ossa mettendosi a giocare con le rocce.
Il posto è quello di sempre… è lo stesso che l’ha imprigionato la prima volta che ha messo l’imbraco.
Questione d’imprinting… forse.
Ad un tratto tutto cambia, il sole prepotente dissolve nebbie e dubbi, la roccia si scalda e si alza anche una leggera brezza a togliere un poco di umidità dall’aria. L’hai tentata solo una volta ma non ti è riuscita a vista, diciamo che l’hai provata, che hai fatto un giro come dicono quelli forti, quelli che si tengono, quelli che…
Li c’è quella via… quei pochi metri che farebbero persino pensare che chiamarla via sia una bestemmia per gli alpinisti. Eppure il Carlo su quelle rocce, oggi, ha deciso di giocare la sua partita. Non ci sono arbitri e non ci sono tifosi. C’è solo la voglia di salire quei maledetti metri che già una volta l’avevano respinto. Il bello dell’arrampicata libera. La dura lotta con l’alpe negli anni passati mandò su per le pareti tanti giovanotti in cerca di un po’ di gloria ma al Carlo di queste cose qua non gliene frega proprio un cazzo.
Per lui c’è solo la libertà. La voglia di muoversi liberamente su quelle ruvide rocce.
La lista delle scuse per non provarla sarebbe infinta, seconda uscita dell’anno, scarso allenamento, l’umido, le scarpette rigide, le mani fredde, la luna, le stelle, Giove e Saturno contro. Ma se l’arrampicata un gioco di equilibri tra la terra e il cielo, come ha detto uno sfigato che scrivere relazioni nel web; allora io voglio giocare ma soprattutto mettermi in gioco e se si perde un poco chi se ne fotte. Sistemo i rinvii, pulisco le scarpe, respiro a fondo a occhi chiusi e parto. I primi metri sono facili, alzo la mano la infilo in un bel buco pieno d’acqua e fango e moschettono, accoppio dentro il buco e mi alzo ancora di qualche metro con le mani imbrattate. Le asciugo bene e mi concentro, si parte, placca l’aderenza da interpretare stringo una tacca mi alzo e via, la parete diventa più verticale, prendo una fessura in dulfer un po’ atletica e approdo sotto il tetto. Ora arriva il chiave, penso; bloccaggio duro di destro alzo più che posso i piedi ed inizio a sbuffare; ora bisogna saltar su.
Dritto da dove sono è troppo duro in alto non ci son prese buone, intanto rimango li e le braccia iniziano a far male, guardo poco a sinistra ed una fessura orizzontale mi viene in aiuto, allungo di sinistro e riesco ad alzarmi ancora un poco fino a prendere una buona lama sopra il tetto . Ora, la tradizione letteraria vorrebbe che iniziasse un serrato dialogo interiore, che esprimesse note di incitazione e resistenze mentali al proseguire; in realtà in quel momento non accadeva niente di tutto ciò dentro la mia testa. Io non pensavo, il mondo per me si era totalmente fermato come i flussi di pensieri, proseguivo seguendo un istinto che mi suggeriva i movimenti da fare. Annusavo la roccia, sentivo il rumore dei rami mossi dal vento, gustavo il sapore della polvere di pietra euganea. La stanchezza sopraggiunge, assieme ad un grido che giunge dalla base della falesia, un – alé - di incitazione rompe il silenzio che c’era attorno e dentro di me. Stringo la lama e mi alzo oltre il tetto, respiro a fondo e mi impongo di rimanere concentrato mancano ancora 4 m alla sosta; so che è più facile ma non devo distrarmi. Traverso di un metro a destra prendo la fessura finale incastro mani e piedi, spingo e son fuori, un paio di metri facili mi portano sul terrazzino dove c’è la calata. Non avviene un esplosione violenta di gioia, ma un rilassamento mentale e fisico al quale mi abbandono senza pensare, quasi volessi
far continuare quella sensazione d’isolamento mentale che mi accompagnava durante la salita. Inizia la calata e con questa il ritorno alla realtà, son riuscito a salirla Flash come dicono i forti, pulita dico io.
La spensieratezza porta il Carlo abbastanza in fretta alla catena di sosta. Chi gli stava tenendo la corda dice persino che sembrava stesse danzando.
Qualche giorno addietro ho compiuto 28 anni e questo è il più bel regalo che potevo farmi, salire una via che guardavo con rispetto dai primi momenti che ho messo piede in quella falesia, che corrispondono anche alle mie prime esperienze in verticale. Buon Compleanno Carlo.
Il vento improvvisamente riprende il suo viaggio verso ovest e chi alla base della pare te ha assistito alla salita dice di averlo sentito pronunciare “Buon Compleanno”.
All’improvviso il sole inizia a baciare le fredde rocce e persino i rami degli alberi iniziano a danzare con il vento… quasi come se la primavera fosse arrivata in anticipo.
Il Carlo si è regalato una salita pulita. Il regalo più inutile dell’anno ma forse il più bello perché inaspettato.
Il regalo più bello perché il più inutile, come lo è la nostra attività, cosa c’è di più, energicamente dispendioso ed economicamente irrilevante che salire una parete rocciosa?!? Penso che stia qui il segreto della felicità che traggo quando scalo, ovvero di fare una cosa assolutamente inutile e quindi uscire, anche se per brevi momenti, dall’estenuante corsa alla produzione di attività, gesti e parole che facciamo ogni giorno, sperando di guadagnarci un pezzettino di immortalità.
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