Leggere un libro ed innamorarsi di una via.
Leggere passo passo le emozioni dell'apritore e iniziare ad addocchiare la relazione.
Scoprire che nel frattempo qualcun'altro ha realizzato il tuo sogno.
Buttare l'idea a qualche amico sulla possibilità di compiere questa salita ma senza mai arrivare ad un dunque... finchè qualcun'altro, all'improvviso, a ciel sereno ti offre la possibilità di realizzare il tuo sogno.
L'idea di affrontare questa salita in artificiale è nata circa due anni fa con Luca quando all'attacco della Loss Pilati addocchiammo dei chiodi lungo quell'esile fessura che sale verso il cielo. Torneremo.
Qualche mese dopo nuovamente all'attacco per ritentare la Loss ma questa volta la rinuncia fu per il maltempo.
Torneremo.
Pasquetta 2009. Per la terza e finalmente ultima volta all'attacco della Loss. Il sogno di Luca era realizzato.
Intanto i chiodi della Valerio Fontana mi guardavano ancora.
Pochi giorni dopo, Luigi, al telefono mi parla della via di Ursella... gioisco ma voglio tener fede alla parola data e ai progetti ipotizzati con gli altri per il weekend. Tra una variazione e l'altra dovuta al maltempo alla fine finisco a cavalcare il mio sogno con Paolo.
Il primo tiro m'impegna a lungo. Sono 40 metri di A1/A2 ma qualche chiodo mancante e qualche appiglio usa e getta (sulla testa di Paolo per la precisione) m'impegna per circa 2 ore.
Paolo è decisamente più veloce di me, in virtù del fatto che nutre un po' più fiducia di me nei vecchi chiodi e così guida lui il mio sogno verso la realtà. Al termine delle difficoltà siamo stanchi ma contenti e qualche piccola distrazione provoca il cedimento di una lama fuori via che finisce a valle. Fortunatamente non c'è più nessuno in giro. Terminiamo la via alle 17.22 e percorrendo le ultime lunghezze di Amelie raggiungiamo facilmente il sentiero di discesa. Torniamo a valle stanchi morti. Torniamo a valle felici.
Nessuno di noi aveva una macchina fotografica. Nessuno di noi ha impresso l'esile fessura che sale verso la vetta. Nessuno di noi ha fotografato le emozioni. Come testimonianza della salita resta un vecchio chiodo di Ursella uscito nella seconda metà della via. Un chiodo particolare che non si trova di certo in commercio.
Grazie a Paolo per essermi stato compagno di questa strepitosa giornata.
Grazie a Luca (che nel frattempo saliva il Missile con Claudia) per aver accettato che affrontassi la salita con Paolo (torneremo certamente... basta solo scegliere la data).
Grazie a Claudia per averci offerto asilo notturno in quel di Trento.
Grazie ad Angelo Ursella, ragazzo di 23 anni, morto sull'Eiger per aver disegnato questa linea tanto logica quanto estetica ed elettrizzante.
VIA NUOVA AL DAIN
di Angelo Ursella – tratto dal libro Il ragazzo di Buia
29 aprile: riprendo a scrivere dopo quasi due mesi. In tutto questo tempo sono successe tante cose e la situazione è un po’ cambiata. In questo periodo ho avuto l’occasione di visitare la Val Rosandra, in compagnia di Rodolfo Simuello. Un giorno, a dir poco, drammatico! In grave crisi, arrampicando da solo, rischio il volo ad ogni innalzamento. Non mi interessa più nulla.
Faccio conoscenza col fortissimo Enzo Cozzolino. Legato alla sua corda, ho la sgradevole sorpresa di volare su un passaggio in libera.
La settimana seguente è uno sforzo continuo per ritrovare me stesso. Mi metto in contatto con Tarcisio Pedrotti per arrampicare al Dain.
19 marzo, ore sette. Sono alle Sarche in attesa degli amici di Trento. Loro saliranno verso lo zoccolo del Piccolo Dain, mentre io farò un salto a Cavedine.
Salgo verso il paese di Graziella, mentre il cuore mi batte forte. Come sarà quest’incontro?
Mi sento in preda a paura e angoscia.
Sono arrivato, suono il campanello.
Emozionatissimo, entro, lei mi sorride… è un momento meraviglioso…
Poco dopo riparto: “Ci rivedremo stasera, ciao”.
Sono sconvolto dalla gioia!
Salgo velocissimo alla base della parete, dove mi attende Tarcisio con due suoi amici: Andrea Andreotti e Marcello Rossi. Ci avviamo lungo lo zoccolo, impastato di terra e cespugli, e dopo un’ora di medie difficoltà ci troviamo alla base dello strapiombo. Lungo la parete gialla si disegna una fessura, infissi nella quale alcuni chiodi fanno bella mostra di sé. Evidentemente qualcun altro ha avuto la nostra stessa idea. Sul terrazzino d’attacco troviamo anche due bei mazzi di chiodi. Decidiamo di tentare.
Dopo una decina di metri ho raggiunto l’ultimo chiodo: ora mi attende un bel lavoro. La fessura si presenta larga e sono costretto a farmi mandare l’unico cuneo a nostra disposizione, con la corda di servizio. Non risolvo un granché: la crepa insiste nella sua eccessiva ampiezza. Metto mano allora ad alcuni chiodi lunghissimi, trovati provvidenzialmente nel mazzo scoperto all’attacco. Ora va meglio. Mi inerpico lungo il muro un po’ strapiombante e friabile, fin dove la fessura si restringe permettendo una chiodatura normale. Dopo 30 metri, attrezzo il primo punto di sosta su una placca grigia. Andrea attacca a sua volta e mi raggiunge svelto.
Sopra di noi la parete si apre gialla, friabilissima, corredata di un brutto strapiombo che nasconde alla vista il resto della via. Ha tutta l’aria di un osso duro, ma parto deciso. Lentamente mi apro la strada, un chiodo dopo l’altro. Una placca liscia interrompe il regolare decorso della fessura, che riprende 5 metri sopra. Lavoro tenacemente col martello, sulla roccia in condizioni deplorevoli. Provo a piantare un chiodo a sinistra, a destra, in alto, in basso. Niente! Unico risultato è quello di far cadere in testa ad Andrea grosse scaglie. Dopo un ennesimo tentativo, un chiodo riesce a penetrare per due centrimetri. Sotto ci sono buoni chiodi; posso tentare. Col fiato sospeso salgo in staffa. Ma la musica non cambia. Un altro chiodino ‘miracoloso’ mi gratifica di un ulteriore breve avanzamento. Un terzo ferro, momenti di delicatezza. Ecco, il passaggio chiave è risolto.
Le condizioni in cui si presenta la parete a questo punto non sono certo delle migliori, ma almeno la fessura è riguadagnata. Infiggo una serie di ancoraggi incerti nella crepa, che ora corre verso sinistra.
Il sole ha raggiunto l’orizzonte. Da sotto gli amici mi invitano a ritornare. Scendo in arrampicata fino ad Andrea. Una doppia nel vuoto e siamo all’attacco. Domani ci procureremo materiale adatto, mentre sabato e domenica porteremo a termine la salita.
Alle Sarche ci attendono alcuni amici. C’è anche lei! La accompagno a casa. Passo attimi indimenticabili in sua compagnia.
L’indomani mi ritrovo naso all’aria, con Marcello e Andrea, a studiare meticolosamente la parete. Dopo l’acquisto del materiale necessario, passo a trovare Sam (Samuele Scalet n.d.r.). Concludo la mia giornata in bellezza, assieme a Graziella. Sabato 21, ore cinque. Andrea, di cui sono ospite, mi viene a svegliare. In un attimo siamo pronti e passiamo a prendere Tarcisio e Marcello.
Alle sette e mezzo mi lego in cordata con Tarcisio e inizio l’arrampicata. Ci seguiranno tra poco Andrea e Marcello con il compito di ricuperare gli zaini. In due ore raggiungo il limite massimo dell’altro giorno. Tento ora di attraversare verso destra portandomi al centro della parete, ma la compattezza della roccia mi costringe a desistere. Continuo allora lungo la fessura, che si snoda marcata sul fondo di un diedro superficiale. La chiodatura si sgrana perfetta. Ogni tanto, come diversivo, un breve tratto in libera. Dopo ore di arrampicata ci fermiamo per bere qualcosa sopra un minuscolo terrazzino, il primo dall’attacco. Un diedro strapiombante nasconde il resto della parete. Dovrebbe costituire ormai l’ultimo ostacolo. Un chiodo dopo l’altro mi innalzo sul suo fondo, fin dove scorgo la possibilità di uscirne. Su appigli quasi inesistenti traverso a sinistra, supero un breve muro e guadagno una comoda cengia. La via è praticamente fatta.Infilo parecchi chiodi nella roccia e con una corda formo un passamano. Mi raggiungono Tarcisio e Andrea. Sono le diciannove, è quasi notte. Immerso nella penombra arriva anche Marcello, spaventato dall’idea di dover bivaccare da solo “sull’orrida parete”. All’ultimo momento però, mentre sta per attaccare la traversata, nel tentativo di rinforzarlo, provoca l’uscita dell’ultimo chiodo e si esibisce in un lungo pendolo, fortunatamente senza conseguenze. E’ notte, siamo pronti per il bivacco. Da fondo valle salgono grida di saluto. Segnali luminosi ci tengono compagnia fin quasi a mezzanotte.
Alle sei riprendiamo la scalata. Pochi metri difficoltosi e raggiungiamo le facili rocce dello spigolo che delimita la parete. L’ultima assicurazione la faccio su una grossa quercia.
Scendendo lungo il facile sentiero, incontriamo due alpinisti che stavano salendo alla nostra volta: sono i due autori del primo tentativo. Era loro intenzione dedicare la via all’amico Valerio Fontana, perito nell’estate del ’69 sulla Carlesso alla Torre Trieste. Facciamo nostro il loro pensiero e dedichiamo così la nuova via sulla sud del Dain a Valerio Fontana.
Alle Sarche ci stanno aspettando. Rivedo con emozione il volto di Graziella. Si conclude coì meravigliosamente la nostra impresa. A casa ci ritroviamo tutti e quattro per le foto di rito. Poi mi congedo dagli amici, e trascorro un magnifico pomeriggio con Graziella.
Ho passato come in un sogno questi quattro giorni. Vorrei tanto che questa felicità durasse mille anni!
1 commento:
Bravo Matteo pian piano cominci ad entrare nella storia del Sarca...continua...
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