martedì 21 agosto 2012

CLAUDIO BARBIER

L'amico Luca Barcella una sera mi ha regalato il libro "La via del Drago", proprio mentre ricordavamo la grinta e l'energia di un amico che non c'è più. Intento ad ultimare diverse letture ho dovuto posticipare questa avventura letteraria.
Come mio solito sono rimasto impressionato da questa figura straordinaria. Qui di seguito riporto qualche passo che mi ha colpito particolamente.

dal libro di Anna Lauwaert

Arrampicare insieme è come fare l’amore: non si può fingere, non si può nascondere la vera personalità; salta fuori l’essere intimo della persona; senza bisogno di parlare si liberano tutti i sentimenti, tutte le emozioni. Si può capire un individuo dal suo modo di arrampicare come dall’analisi grafologica della sua scrittura, dal suo tema astrale, dal sangue, dall’elettrocardiogramma… Ci si può mostrare come si vuole, ma arrampicando non si nasconde più niente, vengono a galla l’insicurezza e la paura o la tranquillità, l’egoismo o la generosità.
Arrampicare è un problema, insieme fisico e psichico, che bisogna risolvere da soli, ognuno per sé, con la propria mente e il proprio corpo, ma in più condividendo tutto con il compagno di scalata: esattamente come fare l’amore. Tra compagni di cordata nasce un’intimità intensa. L’amore non è necessario, ma sono indispensabili il rispetto, la fiducia, la stima, il capirsi senza dover parlare, il saper intuire, il conoscere le reciproche forze fisiche e soprattutto mentali.

In quelle poche ore ho vissuto un concentrato di esperienza umana: la solitudine, la solitudine fondamentale dell’uomo… La montagna ne è la migliore rivelatrice ed è questo il suo fascino: ci si trova da soli davanti ai problemi da risolvere, nessuno può aiutarti, non c’è altra soluzione che continuare. Non ci si può fermare, chiedere aiuto, piangere, tornare indietro, far fare le cose ad un altro o fuggire. Volenti o nolenti, si deve andare avanti, salire, uscire dalla via con le proprie forze, ognuno per sé, da soli.
In montagna non si può fare finta, non si può barare; così come non può farlo il navigatore solitario che sta solo nella grandiosa solitudine dell’oceano.
Nella vita quotidiana siamo illusi dalla presenza ‘degli altri’; non vogliamo nemmeno riflettere, per non riflettere ci lasciamo ipnotizzare da mille sotterfugi, ma nella realtà siamo terribilmente e irrimediabilmente soli.
Soli quando nasciamo, soli quando dobbiamo affrontare e risolvere le difficoltà della vita, soli quando soffriamo, soli quando capiamo quanto soffriamo, soli infine quando moriamo. Anche se circondati da tante persone.
La montagna insegna a prendere coscienza della propria solitudine, a valutare le proprie forze, a gestire paure e debolezze, a camminare malgrado tutto, perché non c’è altra soluzione.
La montagna è un grande implacabile maestro.

L’esperienza mi ha insegnato che esistono due tipi di persone: quelle che valgono la pena e le altre. Non è una questione di soldi o di posizione sociale, ma di valore personale: ho incontrato ovunque persone meravigliose e altre che erano ignoranti nonostante i diplomi, i titoli e i ‘posti importanti’.
Non sono mai stata molto brava a nascondere i miei sentimenti e col tempo mi è diventato sempre più difficile vivere con i meschini, gli invidiosi, i vanitosi.
Aver vissuto con persone come Claudio Barbier, Benvenuto Laritti, Ceci Polazzon e Almo Giambisi ha alzato il livello dei miei criteri.


Nessun commento: