martedì 22 dicembre 2009

EBANO

Il tempo scivola via dalle mani.
Sembrava ieri il primo giorno delle superiori e un mondo nuovo che si apriva.
Da allora ad oggi son passati molti anni. Eppure... non riesco a rendermene conto!
Nel gennaio 2004 mettevo per la prima volta dei vestiti dentro un grande zaino trasformando quello spazio, non poi così grande, nella mia piccola casa per circa un mese.
Il viaggio in Messico aveva dato inizio a qualcosa di veramente importante.
Nei viaggi che si sono susseguiti, l'alpinismo ha trovato il suo spazio. Tutto si è fuso insieme. Tutto è stato unico ogni volta.
Mentre toccavo la sabbia di tanti Stati ho saputo ridere e al tempo stesso piangere.
Il "dolcemente viaggiare" direbbe Lucio Battisti quel "...rallentare per poi accellerare..." che mi ha permesso di assaporare tutto l'assaporabile.
Tra qualche giorno sarà Natale. Mentre la maggior parte di voi sarà davanti ad una tavola imbandita io starò volando sopra le vostre teste. Un nuovo viaggio, una nuova avventura. Il Kenya, con il suo Monte Kenya saranno le nostre destinazioni. Uno stato e una vetta (in reltà le vette son 3).
Lo spirito con cui affronterò questa avventura è lo stesso delle altre volte o forse superiore...

"E potresti ripartire
certamente non volare
ma viaggiare!"

Restate Sintonizzati!
Matteo

martedì 8 dicembre 2009

NEVE

La neve è caduta in abbondanza ma non m'informo di quanta effettivamente ne è caduta.
Butto nello zaino un po' di ferramenta e anche questa volta, senza pensarci su troppo, parto in direzione della Grigna. Il compagno di avventure è Paolo e la voglia di andare a guardare da vicino una certa via... è parecchia. Ai resinelli la fredda neve ci fa aprire gli occhi! Scendere in val Calolden è pressoché impossibile.
Entrambi optiamo per avvicinarci in più possibile alla valle... nonostante entrambi siamo con delle semplici scarpette da ginnastica (quelle del paolo... addirittura da università!). I centimetri di neve aumentano man mano che saliamo. Prima 10, poi 20 infine arriviamo a 60. Abbiamo raggiunto la vetta del Monte Coltignone e voltandoci ci rendiamo conto di come davanti a noi ci sia una grigna diversa. Riconosciamo velocemente la Torre Costanza ed entrambi pensiamo alla ripetizione della mitica Cassin. Io con Luca, lui con Raffo.
Torniamo velocemente indietro e decidiamo di andare a mettere le mani sulla roccia della Rocca di Baiedo. Nuovamente... territorio Condor!
La via che decidiamo di ripetere è Tuono e la placca bagnata del primo tiro impegna non poco Paolo. Due calate in doppia e un panino alla bresaola per chiudere la giornata!

giovedì 3 dicembre 2009

EMOZIONI DA CONDOR!

Ora che il video è stato proiettato al premio dedicato a Marcello Meroni... posso appiccicarlo anche in questo mio piccolo spazio sicuramente poco conosciuto e poco letto.

Ringrazio i miei compagni di cordata e ringrazio ancora Pietro Corti e il don Agostino Butturini per aver condiviso questo capitolo della loro vita con me.

mercoledì 25 novembre 2009

LUCI DELLA CITTA' - Il cerchio si chiude... o forse no?

E' da un po' di tempo che io e Paolo volevamo ripeterla... Una volta siamo arrivati sino a Palazzago prima di arrenderci all'evidende nubifragio che invadeva tutta la Lombardia. Era il giorno del mio ventinovesimo compleanno.
Poi, in un sabato qualsiasi, mentre stavo sulla ferrata del Medale... Michele aveva fatto sua la nostra idea e ci aveva preceduto nella ripetizione di questo itinerario.
Giovedì 19 io, Paolo ed Ale chiudevamo una volta per tutte questo capitolo arrampicatorio legato al Medale.
Paolo è stato il capocordata e forse toccherebbe a lui scrivere queste poche righe... ma gli rubo il posto (sono sicuro che mi perdonerà) perchè credo che questa piccola nota sia d'obbligo dopo le precedenti due legate alla figura di Don Agostino Butturini che ho scritto nelle scorse settimane.
Ora la trilogia è completata.
La via è brutta o meglio... non è bella. Ma questo già si sapeva... La via è anche dura... qualcuno dice più dell'adiacente Bonatti. Ma anche questo già si sapeva... Ma pochi sanno una cosa importante! Per salirla occorre affrontarla con lo spirito Condor! Allora salire i metri... un passo alla volta... assumerà un valore particolare... quasi se i volti del nostro essere vengano mano a mano scolpiti e levigati.
Una via per alzarsi... non solo di qualche metro (sono 180 mt di sviluppo) ma per toccare con mano una scuola di vita che altrove non esiste!





















lunedì 16 novembre 2009

CONDOR E' UN IDEA... NON UN GRUPPO!

Davanti a noi una Lecco frenetica, una Lecco che riesce persino a far dimenticare il silenzio del Lago che di solito circonda le lucertole che s'arrampicano sulle fessure del Medale.

Il cancello del collegio Volta si apre lentamente senza che nessuno di noi s'impegni a cercare un campanello. La facciata illuminata a giorno trasmette un'aria di festa. Un signore vestito di scuro sulla porta sembra molto impaziente. Una vecchia Fiat Panda s'appresta a varcare slanciata il labirinto dei ricordi.

Don Agostino Butturini e Pietro Corti. Il vecchio e il bambino direbbe Guccini.
Il viaggio dei ricordi inizia davanti all'interminabile muro del cortile del collegio dove i nuovi Condor oggi possono iniziare a muovere i primi passi. Negli anni 70 questo cortile era il punto di partenza di mille amicizie, di mille emozioni, di mille trepidanti ed esilaranti avventure.

La seconda tappa della serata è la palestra. Qui due pareti d'arrampicata fanno da sfondo. Qui decidiamo di fermarci, seduti su fredde (e scomode panchine). Qui decidiamo di lanciare in fondo al lago i nostri orologi e accendere quella macchina del tempo che volgarmente viene chiamata al plurale "Ricordi".

Con noi un'oggetto tecnologico. Con noi un ladro di emozioni che su di un cavalletto statico riprende filo e per segno lo srotolarsi del gomitolo dei ricordi.
Il viaggio ha inizio, la nave lascia la sponda di Lecco e inizia a navigare, prima lentamente e poi con il vento a favore sino a solcare l'universo della storia. Gli occhi di don Agostino sono i veri protagonisti della serata. Potremmo guardarli per ore e pur non sentendolo parlare capiremmo che i Condor sono insieme al sacerdozio la sua vita.
La batteria cede abbastanza alla svelta e il grintoso prete emette un sospiro di sollievo.

Sono gli anni 70, anni difficili, e un pretonzolo venuto dalla campagna con una forte passione per la montagna si ritrova dietro la scrivania del Collegio Volta ad insegnare religione ad un gruppo di marmocchi. Un bel giorno, don Agostino prova a portare i ragazzini sulla normale della guglia Angelina... E da li una grande idea mette le fondamenta.

I Condor in breve si ritrovano ad aprire vie, a scovare linee logiche di salita, a lasciare un'impronta del loro passaggio in una Lecco particolarmente aperta all'alpinismo.
Le vie aperte dal gruppo sono veramente tante, forse troppe perchè un essere umano riesca a ricordarle tutte! Tante oggi sono divenute delle classiche, tante delle avventure tra il marcio e l'erboso, e tante (forse la maggior parte) degli itinerari quasi completamente sconosciuti.

...Condor è un'idea.
Oggi l'alpinismo è ucciso dalle patacche, dai riconoscimenti, dalla voglia di gloria e dall'esaltazione del proprio ego. Condor è tutt'altro. Condor è un'avventura vissuta con gli amici, Condor è la condivisione di un'avventura, Condor è una scuola di vita dove la Montagna è la maestra, la professoressa e l'insegnante.

"La montanga è un bellissimo sasso ma ciò che puoi spremere da esso, e in particolare il ritorno alla vita vera e ai suoi valori, contano molto di più!". Parola di prete!

lunedì 2 novembre 2009

ARIA FRIZZANTINA

Potrei iniziare col dire che c'erano un fotografo, un infermiere e un ingegnere. Potrei continuare nel dire che c'era anche Tiziana. Volendo potrei persino aggiungere che il sole splendeva alto nel cielo.
Potrei... ma non lo faccio.

Il risutato sarebbe un tema descrittivo della giornata. Delle righe che verrebbero lette con la stessa velocità con cui verrebbero dimenticate.
Provate ad immaginare un teatro. Sipario rosso che si apre lentamente. Luci che si fondono con i vestiti colorati degli attori. Provate ancora ad immaginare di essere l'unico spettatore di quell'unica rappresentazione. Provate ad immaginare l'infinito e provate ad immaginare la piccolezza.
Ieri il sole illuminava un teatro che nonostante sia a pochi passi da casa visito molto poco. Non perchè il biglietto d'ingresso costi troppo ma perchè scelgo altri spettacoli. Ci sono poi quattro attori che si muovono in un palco enorme che è l'alta valle seriana.
Io sono lo spettatore che anzichè star seduto in platea inizia a muoversi in questa incredibile rappresentazione reale.
Ci sono silenzi e ci sono le voci. Le loro di voci.
Questa domenica è proprio diversa dalle altre. Non ci sono corde, non ci sono moschettoni. C'è solo il silenzio interrotto quasi esclusivamente dal loro vociare.
Ascolto tante storie. Storie di vita quotidiana. Storie di soccorso alpino.
Ogni istante della loro vita è legato a questa attività che rappresenta per loro una forma di devozione. Ascolto ammirando lo spirito con cui indossano quei vestiti. Ascolto le loro energie. Ascolto la forza d'animo con cui si salva una vita o si recupera un morto.
Cerco di far mio tutto questo. Cerco d'imparare e di crescere.






giovedì 29 ottobre 2009

REV. AGOSTINO BUTTURINI

Fermo l'orologio. Tolgo addirittura la batteria per paura che la lancetta dei secondi faccia uno scatto in più.
Chiudo gli occhi e nel frattempo i miei polpastrelli continuano a battere sulla tastiera commettendo chissà quanti errori in un testo che probabilmente non rileggerò.
Mi ritrovo a spaziare, impaziente nel mio universo dei ricordi.
A colpo sicuro vado nel 2003 e vado alle Placche angelone. Il corso di roccia è appena terminato e le soddisfazioni avute in questo corso non si riuscivano a contare allora... figuriamoci oggi. Pochi giorni prima avevo ricevuto un attestato per il corso appena concluso. L'invito a continuare e allo stesso tempo a darmi da fare per buttar giù qualche chilogrammo.
Ora però sono alle Placche angelone e con me ci sono ancora tutti gli amici conosciuti al corso di roccia. Ci sono ancora quasi tutti gli istruttori... perchè nonostante il corso sia ormai ultimato qualcuno si è offerto per un'arrampicata extra.
Io, Luca e Livio. Una cordata che passerà alla storia. Un compagno di cordata con il quale ho poi salito più di 200 vie e un compagno di cordata che oggi è una stella in cielo.
Quel giorno, dopo aver ravanato su qualche viuzza di poco conto abbiamo salito la via Anabasi.
Ricordo la breve pausa in vetta mangiucchiando il mars del Livio e soprattutto ricordo la fatica a superare un tetto triangolare dove qualcuno aveva piantato una grande spranga di ferro, ideale per staffare.
Di quella via sapevo poco, pochissimo ma porto con me dei gran ricordi.
Passata quella domenica la mia attività arrampicatoria si è incrementata notevolmente come notevolmente è aumentato l'affiatamento con Luca e i progetti che ogni domenica, durante gli spostamenti dolomitici, nascevano a dismisura. Qualche sogno si è realizzato, qualche altro si è invece perso con il tempo e qualche altro ancora invece è alle porte del futuro.
Mentre le stagioni invernali portavano tanti alpinisti a zonzo per le montagne innevate noi scoprivamo una grande realtà... è possibile arrampicare tutto l'anno! Bastava scegliere i posti adatti. Bastava scovare pareti di bassa quota e illuminate dal sole.
Spesso sfogliando libri e scroccando relazioni a siti web inciampavo nel nome di un apritore. Un prete. Un nome che spesso compariva nelle vie delle montagne lecchesi. Rev. Agostino Butturini.
Con il tempo che passa e le linee di salita che ripeto cerco affannosamente in internet notizie di questo starno, bizzarro e di certo orginale Prete.
Passa dell'altro tempo e un po' per sentito dire e un po' per le poche informazioni riportate sui libri d'arrampicata... scopro qualcosa in più di Don Agostino e del suo gruppo Condor. Scopro la parrocchia di Monterone e scopro il Collegio Volta nonchè le sue filosofie di approccio alla montagna e che condivido.
Le segretarie del Collegio mi fanno avere un libro commemorativo dei Condor scritto dal Don e da Pietro Corti. Nel mentre l'ho sulla scrivania il buon Paolo me lo sottrae e si avventa in una letture frenetica. Dopo pochi giorni Paolo mi rende il maltolto e anch'io leggo questa storia affascinante.
Passa ancora un'anno e il desiderio di conoscere e chiacchierare con il Don si fa più forte.
Giovedì 22 ottobre mentre mi dirigo al Cinema Fanfulla di Lodi impugno il cellulare e compongo il numero del collegio. Risponde una voce energica e con la dovuta educazione chiedo di Don Agostino. Il mio interlocutore occasionale è anche la persona che stavo cercando. Chiacchieramo per un poco e decidiamo in un'incontro di condivisione di avventure...

Ora riapro gli occhi e m'appresto a chiudere questo breve pezzo nonchè a metterlo su facebook. E' tardi e devo impacchettare il libro che ho comprato per il don... giusto per rompere il ghiaccio all'incontro di domani.

Rimanete sintonizzati!
Will

domenica 11 ottobre 2009

WILL ED ERMANNO... FINALMENTE INSIEME



E' da circa 2 anni che con Ermanno Salvaterra parliamo di fare un'arrampicata insieme. Sono salito a Massimeno sabato pomeriggio e ho giocherellato un po' con Beatrice e Guendalina, due simpatiche caprette e Isotta, il suo cane.
La domenica invece siamo scesi ad Arco e in un tempo relativamente breve, grazie alle sue doti arrampicatorie abbiamo salito la via Adonis alla parete san paolo uscendo per la variante diretta che ci ha permesso di giocare con un pendolo.

Molto soddisfatto delle emozioni provate.

martedì 29 settembre 2009

IL PESCATORE

E' da tantissimo tempo che ascolto frequentemente la canzone "IL PESCATORE" di De Andrè. A dirla tutta non amo molto la versione originale ma preferisco l'interpretazione dei Mercanti di Liquore. Non è difficile trovare interpretazioni più o meno filosofiche sul testo della canzone... ma nessuna di quelle che ho trovato, di fatto, coincide con la mia. Tra un bicchier di vino e qualche chiacchiera al matrimonio di Daniel mi è venuta voglia di scrivere anche a me qualcosa su questo testo che rappresenta il riassunto di quella che è la fede cristiana.

Se è vero che nella religione cattolica Gesù viene spesso paragonato al pescatore (di anime) in questa canzone il pescatore citato non è assolutamente Gesù. Gesù è sempre stato il giovane ragazzo. Qui il pescatore è un vecchio, e in tutte le scritture cristiane il vecchio è Dio, ovvero il più saggio.

ALL'OMBRA DELL'ULTIMO SOLE
Allegoricamente parlando si tratta dell'ultima spiaggia. L'ultimo appiglio 'speranzoso' a cui si attacca l'uomo.

S'ERA ASSOPITO UN PESCATORE
E AVEVA UN SOLCO LUNGO IL VISO
COME UNA SPECIE DI SORRISO
questo sorriso rende il pescatore una persona 'amichevole' e certamente una persona da non temere.

VENNE ALLA SPIAGGIA UN ASSASSINO
DUE OCCHI GRANDI DA BAMBINO
DUE OCCHI ENORMI DI PAURA
ERANO GLI SPECCHI UN AVVENTURA

L'assassino, ovvero il peccatore. Una persona che ha violato un comandamento. Gli occhi di questa persona che sono quelli di un bambino, ovvero quelli di colui che si stupisce facilmente, della persona che ha provato a far qualcosa di nuovo per il solo gusto dello scoprire.
Spesso infatti si iniziano a infrangere delle regole anche per il solo gusto di scoprire le conseguenze del gesto. E' nel genere umano diventare peccatori. Questi occhi portano anche i segni della paura perchè l'infrangere, il trasgredire, crea sempre paura.

E CHIESE AL VECCHIO DAMMI IL PANE
HO POCO TEMPO E TROPPA FAME
E CHIESE AL VECHCIO DAMMI IL VINO
HO SETE E SONO UN ASSASSINO

Questo assassino (questo peccatore) incontra (o forse cerca) il pescatore sulla spiaggia e chiede il pane e il vino, chiede il corpo e il sangue di Gesù. Chiede il perdono. Ha fretta, sente la necessità di liberarsi da ogni forma di peccato. Il peccato, o peccati, commesso, o commessi, sono talmente tanti e grossi da avere Troppa fame. Troppo desiderio di essere perdonato. Al tempo stesso c'è la presa di coscienza di essere un assassino, un peccatore.

GLI OCCHI DISCHIUSE IL VECCHIO AL GIORNO
NON SI GUARDO' NEPPURE INTERONO
MA VERSO' IL VINO E SPEZZO' IL PANE
PER CHI DICEVA HO SETE E HO FAME

In questa strofa si concretizza l'azione di Dio verso l'uomo. Il vecchio apre gli occhi davanti al giorno, davanti alla quodianità. Dio non guarda attorno, non si lascia influenzare da pareri di altre persone e concede il perdono a chiunque ne faccia richiesta.

E FU IL CALORE DI UN MOMENTO
POI VIA DI NUOVO VERSO IL VENTO
DAVANTI AGLI OCCHI ANCORA IL SOLE
DIETRO ALLE SPALLE UN PESCATORE

DIETRO ALLE SPALLE UN PESCATORE
E LA MEMORIA E' GIA' DOLORE
E' GIA' IL RIMPIANTO DI UN APRILE
GIOCATO ALL'OMBRA DI UN CORTILE

L'uomo che si pente e cerca il perdono. L'uomo che continua la sua strada verso il futuro. L'uomo, che nonostante abbia ottenuto il perdono, probabilmente ricade nel peccato.

VENNERO IN SELLA DUE GENDARMI
VENNERO IL SELLA CON LE ARMI
CHIESERO AL VECCHIO SE LI VICINO
FOSSE PASSATO UN ASSASSINO

MA ALL'OMBRA DELL'ULTIMO SOLE
S'ERA ASSOPITO UN PESCATORE
E AVEVA UN SOLCO LUNGO IL VISO
COME UNA SPECIE DI SORRISO

Il perdono è concesso dal vecchio pescatore e quindi da Dio. Ora però arrivano i due gendarmi, arriva la legge terrena. Il perdono divino (che è superiore) non coincide mai con il perdono terreno. Quello è affidato alla legge. Dio non si 'mette mai di mezzo' tra ciò che è divino e ciò che è terreno. Infatti Dio non risponde ai gerdarmi.

mercoledì 23 settembre 2009

COSA COMBINO

E' da parecchio tempo che non scrivo più nulla sul blog.
Non dico di essermi dimenticato della password e del nome utente... ma poco di manca.

In questa estate sono successe molte avventure... dalle verticali... alle orizzontali (parlando di vita abituale... non pensate a cose strane).

Una delle cose più belle che mi sono capitate ad Agosto è stata quella di fare l'uomo di collegamento tra la spedizione dell'Educai (vedi www.caibergamo.it) e l'Italia.

Quello che ho combinato è bene o male relazionato sul solito sito... Ora sto, come tutti i mesi di settembre da diversi anni, vivendo la realtà del corso di roccia. La scorsa settimana siamo stati a finale ligure e la prossima probabilmente andremo in val di mello o dolomiti vicentine.

A presto

domenica 28 giugno 2009

SULLE TRACCE DEL BRUNO


eccomi tornato da poco dal Brenta. Era diverso tempo che non visitavo questo gruppo dolomitico. Forse perchè è un po' staccato, forse perchè i progetti hanno preso sempre altre direzioni.Espo lancia l'idea, io, luca e claudia la facciamo nostra e dopo una rampatina ad Arco (causa brutto tempo) ci dirigiamo verso la Corna Rossa, una parete situata nei pressi di Vallesinella. Espo, Giò e Marco salgono lo spigolo Detassis al Torrione SAT. Noi invece la Detassis/Vidi al primo torrione. Pochi metri di via, Pochi tiri di corda, ma tanti pensieri al Bruno che non c'è più da circa un anno. Più ripeto le sue vie... più me ne innamoro!

martedì 26 maggio 2009

TEMPO DI BATTER TASTI

E' passato parecchio tempo da quando mi mettevo davanti ad un pc e iniziavo a battere liberamente sui tasti della tastiera.
Errori, imprecisioni, inesattezze... Quello che avevo scritto era uscito semplicemente dal rumore dei miei polpastrelli sui tasti ormai luci della mia tastiera.
Qualche settimana fa avevo fatto presente al Giamo e al Danno che stavano trascurando il loro blog... e non mi sono accorto che anch'io mi ero dimentato del mio.
Di avventure ne sono successe davvero tante. Da un viaggio in croazia che mi ha portato ad un rientro anticipato... a qualche piccola novità lavorativa... alle mie avventure sui monti.
Non trovo molto senso nell'elencare una ad una le salite. Ne verrebbe un elenco inutile per tutti. Per me in primo luogo e ultra noioso da leggere per voi. Non è stilare un elenco, non è mostrare una salita fatta o tentata che m'interessa. L'importante è il vissuto!
Essere su di un picco del monte Bianco o su una guglia della Presolana in fondo è la stessa cosa. Certo cambia in panorama ma le emozioni che una salita ti regala sono sempre uniche... Quasi se ogni volta che si poggia la mano sulla roccia si fosse sempre in un posto differente.
Ultimamente ho arrampicato oltre che con Luca, Claudia ed Ale anche con Paolo e Raffo. Alcune volte (per non dire spesso) mi sono ritrovato su itinerari notevolmente "too hard for me" ma da secondo ho avuto modo di fare mio uno spirito avventuroso che ha saputo portarmi indietro nel tempo. Un sorriso, una canzone, un bivacco ai piedi della regina delle orobie, una staffata, un
ritornello che evoca le azzerate mi hanno fatto vivere momenti magici.

Un'episodio che mi ha colpito molto e che ha invaso per parecchio tempo la mia mente è accaduto in val d'aosta ormai più di un mese fa. Mi trovavo di buon ora con lo Spinelli nel parcheggio del cimitero di Verres e mentre ci preparavamo a salire la via "Li Mortacci" che è proprio dietro al cimitero mi si è avvicinato un vecchietto zoppicante senza un braccio che teneva sotto mano un
secchio arancione. Dentro di me m'aspettavo il solito cercatore di spiccioli invece cercava da me solo un po' d'aiuto. Entrati nel cimitero mi ha chiesto di salire una scala e d'inserire dei tulipani gialli davanti a delle lapidi. A giudicare dalle vecchie fotografie e dalle scritte dovevano certamente essere i suoi genitori. Il vecchietto mi ha ringraziato e dopo esserci
salutati ha iniziato a pregare. Si tratta di un episodio certamente comune che non ha nulla di originale ma sono rimasto colpito dalla fede di quest'uomo. Nonostante il pessimo stato di salute quel giorno stava davanti ai genitori a regalare loro un fiore.
Penso molto a questa storia...

Un'ultima cosa...mi mancano poche pagine a completare un libro commemorativo sulla storia del gruppo Condor di Lecco. Un gruppo di marmocchi tirati insieme da Don Agostino Butturini. Ciò che questo 'don' ha fatto è stato insegnare loro l'amore per la montagna, i valori dell'amicizia ma soprattutto ha fatto capire loro che la montagna deve essere una scuola di vita... non un totem da adorare.
Voliamo alti!

martedì 28 aprile 2009

TRA SOGNO E REALTA'. VALERIO FONTANA AL PICCOLO DAIN

Leggere un libro ed innamorarsi di una via.
Leggere passo passo le emozioni dell'apritore e iniziare ad addocchiare la relazione.
Scoprire che nel frattempo qualcun'altro ha realizzato il tuo sogno.
Buttare l'idea a qualche amico sulla possibilità di compiere questa salita ma senza mai arrivare ad un dunque... finchè qualcun'altro, all'improvviso, a ciel sereno ti offre la possibilità di realizzare il tuo sogno.

L'idea di affrontare questa salita in artificiale è nata circa due anni fa con Luca quando all'attacco della Loss Pilati addocchiammo dei chiodi lungo quell'esile fessura che sale verso il cielo. Torneremo.
Qualche mese dopo nuovamente all'attacco per ritentare la Loss ma questa volta la rinuncia fu per il maltempo.
Torneremo.
Pasquetta 2009. Per la terza e finalmente ultima volta all'attacco della Loss. Il sogno di Luca era realizzato.
Intanto i chiodi della Valerio Fontana mi guardavano ancora.

Pochi giorni dopo, Luigi, al telefono mi parla della via di Ursella... gioisco ma voglio tener fede alla parola data e ai progetti ipotizzati con gli altri per il weekend. Tra una variazione e l'altra dovuta al maltempo alla fine finisco a cavalcare il mio sogno con Paolo.

Il primo tiro m'impegna a lungo. Sono 40 metri di A1/A2 ma qualche chiodo mancante e qualche appiglio usa e getta (sulla testa di Paolo per la precisione) m'impegna per circa 2 ore.
Paolo è decisamente più veloce di me, in virtù del fatto che nutre un po' più fiducia di me nei vecchi chiodi e così guida lui il mio sogno verso la realtà. Al termine delle difficoltà siamo stanchi ma contenti e qualche piccola distrazione provoca il cedimento di una lama fuori via che finisce a valle. Fortunatamente non c'è più nessuno in giro. Terminiamo la via alle 17.22 e percorrendo le ultime lunghezze di Amelie raggiungiamo facilmente il sentiero di discesa. Torniamo a valle stanchi morti. Torniamo a valle felici.

Nessuno di noi aveva una macchina fotografica. Nessuno di noi ha impresso l'esile fessura che sale verso la vetta. Nessuno di noi ha fotografato le emozioni. Come testimonianza della salita resta un vecchio chiodo di Ursella uscito nella seconda metà della via. Un chiodo particolare che non si trova di certo in commercio.

Grazie a Paolo per essermi stato compagno di questa strepitosa giornata.
Grazie a Luca (che nel frattempo saliva il Missile con Claudia) per aver accettato che affrontassi la salita con Paolo (torneremo certamente... basta solo scegliere la data).
Grazie a Claudia per averci offerto asilo notturno in quel di Trento.
Grazie ad Angelo Ursella, ragazzo di 23 anni, morto sull'Eiger per aver disegnato questa linea tanto logica quanto estetica ed elettrizzante.




VIA NUOVA AL DAIN
di Angelo Ursella – tratto dal libro Il ragazzo di Buia

29 aprile: riprendo a scrivere dopo quasi due mesi. In tutto questo tempo sono successe tante cose e la situazione è un po’ cambiata. In questo periodo ho avuto l’occasione di visitare la Val Rosandra, in compagnia di Rodolfo Simuello. Un giorno, a dir poco, drammatico! In grave crisi, arrampicando da solo, rischio il volo ad ogni innalzamento. Non mi interessa più nulla.

Faccio conoscenza col fortissimo Enzo Cozzolino. Legato alla sua corda, ho la sgradevole sorpresa di volare su un passaggio in libera.
La settimana seguente è uno sforzo continuo per ritrovare me stesso. Mi metto in contatto con Tarcisio Pedrotti per arrampicare al Dain.
19 marzo, ore sette. Sono alle Sarche in attesa degli amici di Trento. Loro saliranno verso lo zoccolo del Piccolo Dain, mentre io farò un salto a Cavedine.
Salgo verso il paese di Graziella, mentre il cuore mi batte forte. Come sarà quest’incontro?
Mi sento in preda a paura e angoscia.
Sono arrivato, suono il campanello.
Emozionatissimo, entro, lei mi sorride… è un momento meraviglioso…
Poco dopo riparto: “Ci rivedremo stasera, ciao”.
Sono sconvolto dalla gioia!
Salgo velocissimo alla base della parete, dove mi attende Tarcisio con due suoi amici: Andrea Andreotti e Marcello Rossi. Ci avviamo lungo lo zoccolo, impastato di terra e cespugli, e dopo un’ora di medie difficoltà ci troviamo alla base dello strapiombo. Lungo la parete gialla si disegna una fessura, infissi nella quale alcuni chiodi fanno bella mostra di sé. Evidentemente qualcun altro ha avuto la nostra stessa idea. Sul terrazzino d’attacco troviamo anche due bei mazzi di chiodi. Decidiamo di tentare.
Dopo una decina di metri ho raggiunto l’ultimo chiodo: ora mi attende un bel lavoro. La fessura si presenta larga e sono costretto a farmi mandare l’unico cuneo a nostra disposizione, con la corda di servizio. Non risolvo un granché: la crepa insiste nella sua eccessiva ampiezza. Metto mano allora ad alcuni chiodi lunghissimi, trovati provvidenzialmente nel mazzo scoperto all’attacco. Ora va meglio. Mi inerpico lungo il muro un po’ strapiombante e friabile, fin dove la fessura si restringe permettendo una chiodatura normale. Dopo 30 metri, attrezzo il primo punto di sosta su una placca grigia. Andrea attacca a sua volta e mi raggiunge svelto.
Sopra di noi la parete si apre gialla, friabilissima, corredata di un brutto strapiombo che nasconde alla vista il resto della via. Ha tutta l’aria di un osso duro, ma parto deciso. Lentamente mi apro la strada, un chiodo dopo l’altro. Una placca liscia interrompe il regolare decorso della fessura, che riprende 5 metri sopra. Lavoro tenacemente col martello, sulla roccia in condizioni deplorevoli. Provo a piantare un chiodo a sinistra, a destra, in alto, in basso. Niente! Unico risultato è quello di far cadere in testa ad Andrea grosse scaglie. Dopo un ennesimo tentativo, un chiodo riesce a penetrare per due centrimetri. Sotto ci sono buoni chiodi; posso tentare. Col fiato sospeso salgo in staffa. Ma la musica non cambia. Un altro chiodino ‘miracoloso’ mi gratifica di un ulteriore breve avanzamento. Un terzo ferro, momenti di delicatezza. Ecco, il passaggio chiave è risolto.
Le condizioni in cui si presenta la parete a questo punto non sono certo delle migliori, ma almeno la fessura è riguadagnata. Infiggo una serie di ancoraggi incerti nella crepa, che ora corre verso sinistra.
Il sole ha raggiunto l’orizzonte. Da sotto gli amici mi invitano a ritornare. Scendo in arrampicata fino ad Andrea. Una doppia nel vuoto e siamo all’attacco. Domani ci procureremo materiale adatto, mentre sabato e domenica porteremo a termine la salita.
Alle Sarche ci attendono alcuni amici. C’è anche lei! La accompagno a casa. Passo attimi indimenticabili in sua compagnia.
L’indomani mi ritrovo naso all’aria, con Marcello e Andrea, a studiare meticolosamente la parete. Dopo l’acquisto del materiale necessario, passo a trovare Sam (Samuele Scalet n.d.r.). Concludo la mia giornata in bellezza, assieme a Graziella. Sabato 21, ore cinque. Andrea, di cui sono ospite, mi viene a svegliare. In un attimo siamo pronti e passiamo a prendere Tarcisio e Marcello.
Alle sette e mezzo mi lego in cordata con Tarcisio e inizio l’arrampicata. Ci seguiranno tra poco Andrea e Marcello con il compito di ricuperare gli zaini. In due ore raggiungo il limite massimo dell’altro giorno. Tento ora di attraversare verso destra portandomi al centro della parete, ma la compattezza della roccia mi costringe a desistere. Continuo allora lungo la fessura, che si snoda marcata sul fondo di un diedro superficiale. La chiodatura si sgrana perfetta. Ogni tanto, come diversivo, un breve tratto in libera. Dopo ore di arrampicata ci fermiamo per bere qualcosa sopra un minuscolo terrazzino, il primo dall’attacco. Un diedro strapiombante nasconde il resto della parete. Dovrebbe costituire ormai l’ultimo ostacolo. Un chiodo dopo l’altro mi innalzo sul suo fondo, fin dove scorgo la possibilità di uscirne. Su appigli quasi inesistenti traverso a sinistra, supero un breve muro e guadagno una comoda cengia. La via è praticamente fatta.Infilo parecchi chiodi nella roccia e con una corda formo un passamano. Mi raggiungono Tarcisio e Andrea. Sono le diciannove, è quasi notte. Immerso nella penombra arriva anche Marcello, spaventato dall’idea di dover bivaccare da solo “sull’orrida parete”. All’ultimo momento però, mentre sta per attaccare la traversata, nel tentativo di rinforzarlo, provoca l’uscita dell’ultimo chiodo e si esibisce in un lungo pendolo, fortunatamente senza conseguenze. E’ notte, siamo pronti per il bivacco. Da fondo valle salgono grida di saluto. Segnali luminosi ci tengono compagnia fin quasi a mezzanotte.
Alle sei riprendiamo la scalata. Pochi metri difficoltosi e raggiungiamo le facili rocce dello spigolo che delimita la parete. L’ultima assicurazione la faccio su una grossa quercia.
Scendendo lungo il facile sentiero, incontriamo due alpinisti che stavano salendo alla nostra volta: sono i due autori del primo tentativo. Era loro intenzione dedicare la via all’amico Valerio Fontana, perito nell’estate del ’69 sulla Carlesso alla Torre Trieste. Facciamo nostro il loro pensiero e dedichiamo così la nuova via sulla sud del Dain a Valerio Fontana.
Alle Sarche ci stanno aspettando. Rivedo con emozione il volto di Graziella. Si conclude coì meravigliosamente la nostra impresa. A casa ci ritroviamo tutti e quattro per le foto di rito. Poi mi congedo dagli amici, e trascorro un magnifico pomeriggio con Graziella.
Ho passato come in un sogno questi quattro giorni. Vorrei tanto che questa felicità durasse mille anni!

venerdì 24 aprile 2009

IL SASSO ERRANTE

Il Sasso Omar ha scritto un nuovo racconto. Dato che è bellissimo (guai a chi dice il contrario) lo pubblico anche qui.

Intanto per tutti quelli che seguono le mie (nostre) avventure comunico ufficialmente che i SassBalòss andranno in spedizione a Novembre in Wadi Rum (Giordania)

Sono tra i monti. Ci sono sempre stato. Da migliaia di anni. E chissà per quanto tempo rimarrò qui: a scaldarmi al primo sole del mattino e a rabbrividire al primo freddo della sera. Mi lascerò bagnare dalla pioggia scrosciante dell’estate che mi scorre sopra veloce e che, lentamente, mi addolcisce i lineamenti e li rende meno ruvidi e spigolosi. Mi farò coprire, come sempre, dall’ultima neve di marzo, sorridendo al pensiero che di lì a poco sarò circondato da fiori e profumi che mi addolciranno il cuore, duro come pietra.
A volte sogno il mare, lontano anni luce da qui. Mi immagino sulla spiaggia a farmi accarezzare dalle onde che con il loro monotono andare e venire mi fanno addormentare. Ed i pesci che mi vengono a trovare. I bambini che mi nuotano attorno e che ridono. Le ragazze con i seni al vento e l’odore della crema solare. Mi godrò i tramonti arroventati e il volo dei gabbiani. Mi lascerò sporcare dalle alghe e perfino i granchi mi cammineranno sopra. Forse un giorno ci arriverò, chissà quando, chissà come. Attraverso un fiume ci arriverò.
Ed allora mi mancheranno i miei silenzi, mi mancherà anche il ghiaccio che mi copre ed il vento che non mi lascia dormire. Mi ricorderò degli animali al pascolo ed il suono dei loro campanacci al collo. Delle vipere che si addormentano sopra di me, al caldo del mio corpo.
Se solo fossi un poco più in alto, qualche metro. O un poco più in basso. Allora vedrei il mare, laggiù, tra quelle due montagne lontane. Ho sentito dire da qualcuno di passaggio che da lì si vede il mare.
Ma da dove sono io vedo solo nuvole, prati e cielo azzurro.
Io lo so perché vorrei andarmene da qui, da dove sono sempre stato.
Per averne nostalgia e tornare.

martedì 21 aprile 2009

UN NUOVO MATTINO

Testo di Paolo Grisa

«Riallacciare i contatti con la natura, e come amici prendersi per mano, e scoprire noi stessi, e finalmente comunicare. E percepire non solo il tipo di realtà che ci viene sottoposta quotidianamente, bensì le diverse realtà di cui è composta l'esistenza. Non è cosa difficile comprendere, osservando le mutazioni delle stagioni, come esse abbiano una similitudine con la nostra vita» (I. Guerini)

ebbene si...è davvero possibile, contro ogni previsione, trasformare un triste e grigio pomeriggio quasi autunnale di temporali vaganti su tutta la pianura e le prealpi in un frizzante e spensierato NUOVO MATTINO verticale su un meraviglioso sipario (SI, UN SIPARIO COLOR OCRA) incastonato a fianco di quella che Guerini chiamava la COSTIERA D'AVORIO...proprio qui due fessure di meravigliosa regolarità ti sparano verso l'alto in una lotta contro la gravità che si risolve sempre felicemente per chi ha la pazienza di cercare SENZA L'USO DI TRUCCHI la soluzione nascosta...
La roccia APPARENTEMENTE nemica all'inizio premia in realtà colui che andando al di là della superficie delle cose prosegue nella sua esplorazione verso l'ALTO...
MANOBONG e FESSURIANI...due lineari crepe tanto affascinanti quanto repulsive dalle quali...chi avrà la curiosità (o l'energia...) di fermarsi ad ascoltare godrà del privilegio di udire uscire dalle loro fenditure il suono rieccheggiante di un sogno (o un utopia?) che si chiamò...alla fine degli anni '70 ARRAMPICATA LIBERA ...(ma libera davvero!) e che rimase, invece, vittima di sè stesso, finchè quel "libera" (che significava in realtà molto più di quello che in seguito si sarebbe voluto far credere) si sarebbe trasformato in SPORTIVA ribaltando completamente i suoi ideali...

tentennare sulla scelta del sentiero,
seguire con lo sguardo la linea e chiedersi come sarà trovarcisi sopra,
respirare profondamente prima di compiere il primo passo verso l'alto,
espirando fuori tutte le preoccupazioni,
gioire per la scoperta di una protezione,
vergognarsi rinviando uno spit non certo frutto del "SOGNO ORIGINALE",
sorprendersi della inaspettata generosità della roccia proprio in quel punto che, da sotto, sembrava più minaccioso,
terminare una via sotto uno scroscio rinfrescante che, più che rovinare sembra voler essere partecipe anch'esso della gioia del momento...

GRAZIE A MATTEO E FEDE CHE, IN DUE DIVERSI MOMENTI, MI SONO STATI COMPAGNI DI QUESTI PICCOLI VIAGGI FUORI DAI TEMPI E FUORI DA QUEI GRADI COSI' VOLGARI NELLA LORO FREDDEZZA...VIAGGI NEI QUALI, L'ARRAMPICATA, NE è STATA SI UNA COMPONENTE, MA NON CERTO LA PIU' IMPORTANTE!


giovedì 9 aprile 2009

ABRUZZO di Paolo Sorrentino

Sono tutti morti. Anche i vivi. I cadaveri sono stati coperti con un velo e i vivi sono stati svelati. Sono cadute le pareti delle loro case e chiunque può frugare nella loro intimità. Attraverso una finestra si sbircia come voyeur, ma quando sono le mura a non esserci più, allora si smette di spiare. Si condivide. Si scorgono bagni e boiler, accappatoi, uccelli impagliati, televisori a schermo piatto, quadri, collage di fotografie di fidanzati, stampanti di computer, bottiglie di plastica. Basta solo arrampicarsi lungo le stradine del centro storico dell'Aquila. Incustodite e deserte.

Tutto è incustodito e deserto. Tutti possono vedere e fare tutto. Per poi scoprire troppo presto che non si può fare niente. Solo guardare dentro le case. Squassate in sezione, come certe vecchie case delle bambole. Come in una delle immagini più famose di "Germania anno zero". Le case dell'Aquila sono case di Barbie, ma tutte ricoperte di un sottile velo di polvere. Un'imbalsamazione degli oggetti. Che li invecchia di colpo. Mentre, poche ore fa, viveva tutto. Viveva dentro i sorrisi e dentro le parole che, in un attimo, sono state annientate. Per questo è tutto morto. Perché nessuno parla, nessuno ride, e anche i pianti sono brevi e improvvisi, a volume ridotto, appartati e composti. Sono pianti di una gente orgogliosa che, questa è l'impressione, non è abituata a piangere. Dal momento che anche il pianto sa essere una forma di spettacolo, ma lo spettacolo è un repertorio che appare del tutto estraneo alla dignità di queste persone.

I vivi non hanno più niente. Non hanno le case, ma, soprattutto, non hanno l'interno delle loro case, non possono più afferrare quella visione d'insieme fatta d'oggetti, odori, che compongono la vita e la quotidianità. Non hanno i punti di riferimento minimi che attrezzano gli individui per la sopravvivenza al dolore. Hanno solo i morti. Anche per questo sono morti. E hanno un fiume indefinito d'estranei che si aggira per la loro città. Perlopiù in divisa. E anche questi estranei, eroici e tenaci, sembrano muoversi in una sorta di lutto attivo. Ma sempre di lutto. Mentre gli abitanti, nella loro sovrumana compostezza, sembrano attraversati da una forma dolorosa ancora sconosciuta. Un lutto freddo. Che incute un rispetto assoluto. E nessuno, neanche per sbaglio, si sogna di tradire il rispetto per il loro lutto. Una famiglia piange davanti alla casa dello studente e le televisioni vincono l'irresistibile tentazione. Li lasciano in pace.



Una delle ragazze più belle viste negli ultimi dieci anni attraversa un gruppo di almeno cinquanta giovani in divisa. Nessuno commenta. Nessuno solleva uno sguardo di troppo su di lei. Ciascuno ha ritrovato il rispetto e la dignità. Nell'orgia del dolore, il mondo va come dovrebbe andare.

E poi regna la paura, perché niente è finito e tutto è solo cominciato. Tutti i pensieri, anche quelli più elementari, sono violentati dalle scosse d'assestamento. La paura e il dolore, uniti e inscindibili, formano un'unica entità. Un'entità insopportabile. Che congela questo lutto, per farsi cosa attonita, ed impressionante.

E, su tutto, il silenzio. Un silenzio nuovo e indefinibile. Interrotto, di tanto in tanto, da un elicottero lontano. Da un aereo militare.
E tutti a comporre lo stesso pensiero, ma nessuno lo comunica, perché è banale: la sensazione di un'altra, più piccola, ma simile, guerra mondiale.
A intervalli regolari, solo il rumore delle ruspe; le braccia meccaniche, oltre i tetti sfondati, raspano nelle macerie, per poi fermarsi ex abrupto. Allora i vigili del fuoco riprendono a muoversi con cautela e fatica. E l'interruzione delle ruspe porta tutti sullo stesso, ossessivo concetto: ci sono altri morti. Perché pare tramontata l'idea di trovare i vivi. Così dicono i cani. Le rare volte che si parla, si parla delle unità cinofile. I cani, sono loro che "bonificano" le zone. Sono loro che, momentaneamente, stabiliscono e qualificano, in maniera affidabile e concreta, un'idea di speranza.

Frugano in mezzo alle macerie e odorano.
I vivi a lutto frugano in mezzo alle macerie e sprofondano nuovamente nell'intimità della gente, ma più in dettaglio questa volta. Una vicinanza scandalosa. Ed escono fuori vecchie cartelle della tombola, ecocardiogrammi, borse di donne anziane, scarpe spaiate, album fotografici di una felicità che pare preistorica e i volontari della protezione civile raccolgono tutto dentro enormi buste. Con un'accortezza commovente. Perché promette una parziale restituzione alla vita, una volta trovati i legittimi proprietari. E poi spunta un crocefisso da pochi soldi, uno di quelli che sormontano brutti letti matrimoniali. Un volontario raccatta dello spago e lo attacca ad un albero. La cosa non colpisce, non smuove nessuno. È un gesto che richiederebbe pensieri e interpretazioni simboliche appena più complesse, che nessuno è in grado né ha voglia di fare.

Ancora silenzio, fantasmagorico. C'è il silenzio di certe prime teatrali, un attimo prima che si apra il sipario. Anche i molti, con lo sguardo vacuo, e l'orecchio appeso al cellulare, sono muti. Telefonano, ma sembra che non parlino. E puoi anche dubitare che ascoltino. S'intuisce solo una serie ininterrotta, feroce, di squilli senza risposta.

Le persone sono tutte mute, eppure cortesi. C'è una gentilezza silenziosa. Come dovrebbe essere il mondo, anche lontano dalle tragedie.
Le ruspe attaccano e si fermano di nuovo. Si sente solo il motore acceso di un'ambulanza in attesa di niente. Non arriverà nessuno. Neanche la delusione. L'autista spegne il motore.

Nelle strade del centro storico, adiacenti a via XX settembre, un solo, sordido rumore, è spietato e incessante. Quello dell'acqua delle tubature divelte. Piccoli rivoli che scrosciano. Per poi perire, appena ci si allontana di pochi passi. È come un lento disgelo. Ma senza il candore della neve in montagna. Qui, quello che un tempo doveva essere immacolato e prezioso, è diventato residuo. Insensato e senza possibilità d'uso.
Dopo l'ennesimo silenzio, ancora il rumore della paura. Sono le 19 e 45 di martedì sette aprile. Una scossa violentissima. Scappano tutti. Poco dopo arriva un uomo con gli occhiali e dice che è stata trovata una ragazza sotto le macerie. Viva. Anche i cani sbagliano.

domenica 1 febbraio 2009

VIDEO

Il Fizze mi ha mandato un video... Io lo posto qui perchè mi ha colpito molto. Ci sono delle immagini... ma occorre ascoltare molto bene quello che viene detto!


sabato 31 gennaio 2009

VIA ARCHAI











Ecco qualche fotografia...








venerdì 23 gennaio 2009

ANTICA LEGGENDA

Secondo una leggenda Talmudica
quando un bambino nasce
possiede
la conoscenza di tutte le vite precedenti

Un angelo appare
e lo istruisce a mantenere questo segreto,
pone il dito sulle labbra del bambino
che dimentica tutto.

una traccia del gesto dell'angelo rimane:
è il piccolo solco tra le labbra ed il naso.
Soltanto a questo punto
il bambino può emettere il suo primo grido.

domenica 18 gennaio 2009

ROCK

Ecco chiuso un altro weekend. Un weekend arrampicatorio dopo l'explois della settimana scorsa con lo sci alpinismo dove ho raggiunto con le pelli la cima di Grem qui nelle Oribie Bergamasche... ma al momento della discesa il panico mi ha invaso (pare sia una delle saliti più semplici in assoluto) e ho messo li sci nello zaino e son sceso a piedi.

Sabato con Michele e Paolo siamo stati in Antimedale. Non avevamo ben chiaro neanche noi cosa volevamo fare ma alla fine ci siamo buttati su Sentieri Selvaggi, una delle poche vie che non è stata ancora rifittonata. Ad aprirla ci hanno pensato nell'autunno del 1981 Dario Valsecchi e Delfino Formenti. Una salita in parte esplorative e in parte entusiasmante perchè ci sono delle lunghezze proprio belle su una roccia praticamente vergine in quanto non ancora unta.

Quest'oggi invece ero con Luigi e Rubens, l'idea era di salire qualcosa di semplice ad Arco, unica zona dove secondo il meteo sembra che ci fosse ancora il sole...
Ebbene quando questa mattina siamo arrivati nella valle del sarca abbiamo trovato un cielo tutto coperto e Luigi ha optato per il Pilastro Gabrielli, una via di Stenghel del 1978. A parte qualche lunghezza decisamente marcia e la chiodatura a tratti precaria la via è veramente molto bella dalla logica bestiale. Decisamente Too Hard for me. Soddisfatto.


DAL SITO ALPINISMO E SOLITARIETA'

PILASTRO GABRIELLI
G. Stenghel (Sten) e G. Vaccari 1978
250 metri di V° sup e VI° grado.
Dedicata all’amico Dott. Pietro Gabrielli che dal basso ci ha seguito e incoraggiato per tutta la salita.
Grande classica, non solo della parete ma della valle intera. Arrampicata molto esposta e di grande soddisfazione. Aperta dai primi salitori, allora giovanissimi ed inesperti, in arrampicata libera con l’uso soltanto di qualche grosso cuneo di legno e qualche chiodo artigianale per non parlare dei grossi scarponi ai piedi. A tutt’oggi la via è più protetta (consigliabile comunque portarsi dei grossi dadi o friends da incastrare nelle fessure).
Lo spigolo del Pilastro è inciso da una sequenza incredibile di diedri perfetti e slanciati (un miracolo della natura). La via dopo aver superato uno zoccolo erboso, segue questa linea dalla logica impeccabile. Nei primi tiri di corda c’è un passo di alcuni metri con roccia delicata poi la roccia diventa magnifica e l’arrampicata entusiasmante (soprattutto per la possibilità di protezione con nuts o friends che i primi salitori non avevano). L’ultimo diedro è molto atletico, una lunghezza fantastica, su roccia porosa con un’arrampicata di grande soddisfazione.
Attacco: Dalla verticale del Pilastro Gabrielli, traversare a destra fino ad una facile rampa erbosa. Alzarsi superando delle paretine (i primi salitori hanno trovato per alcuni metri una “corda di ferro”, probabilmente lasciata da precedenti tentativi). Obliquando a sinistra e vincendo delle paretine di roccia verticale si guadagna l’evidente diedrino grigio che porta sullo spigolo del Pilastro e sotto la parte più impegnativa.


UNA SCULTURA DELLA NATURA di Giuliano Stenghel

Un giorno piovoso d'autunno, con la mia vecchia motocicletta mi dirigevo verso la Valle della Mandrea; vi arrivai bagnato fradicio, immerso nelle nuvole che nascondevano ogni vista.
Avevo sentito parlare di un pilastro di roccia stupendo ed altrettanto ardito e trepidavo per il desiderio di poterlo almeno vedere; speravo nell'Ora del Garda e rimasi in attesa camminando pensieroso lungo un sentiero. All'improvviso mi apparve tutta la parete dalla quale risaltava imponente, scultura della natura, il Pilastro della Mandrea: un invito, un sogno che incantava.
Una via nuova per legare il mio nome a questa montagna, tracciando una via logica, ideale lungo quei diedri posti incredibilmente sul filo dello spigolo: per me era una attrazione fatale. Non salire solamente per il puro piacere d'arrampicare, ma per scoprire metro dopo metro, insomma, per vincere. Credo sia la stessa sensazione dell'artista nel creare la sua opera, credo ci voglia la stessa concentrazione e stato d'animo.

Ipnotizzato da quella vista, confidai l'idea al mio giovanissimo compagno di corda, Giorgio Vaccari. Arrampicavamo pieni di entusiasmo e con la forza dei nostri vent'anni. Allora non c'erano i dadi di tutte le misure, i friends o altri strani aggeggi, non c'erano nemmeno le scarpette leggerissime e super aderenti, ma esistevano solamente gli scarponi pesanti, i grossi cunei in legno che ci preparavano in falegnameria ed i chiodi in ferro con l'anello saldato in officina: eppure, impiegando molte ore, riuscivamo a salire.

venerdì 2 gennaio 2009

HAPPY NEW YEAR

Buongiorno mondo,
è in questa pausa pranzo che rubo una decina di minuti per scrivere sul blog. E' iniziato finalmente il nuovo e si spera (chi visse sperando... morì cagando) che quello nuovo porti una marea di novità. Novità assolute, Novità rivoluzionarie.
Intanto metto una fotografia della regina delle Orobie, la Presolana, augurando a tutti voi un buon anno.








Ma il vero motivo di questo post è per fare gli auguri ad un GRANDE dell'ALPINISMO.

Riccardo Cassin, che oggi compie 100 anni!!!