lunedì 26 settembre 2016

FRANCESCO



Quanti metri di pellicola sono passati sugli schermi del paese. Oggi la pellicola non c’è più ma per fortuna il cinema, questa sala, continua a regalare emozioni.
Dietro un fascio di luce sono cambiate tante cose. Oggi è tutto molto più semplice e i ragazzi che si occupano delle proiezioni ignorano un mondo, una professione, che da qualche anno è scomparsa.
Fino a pochi anni fa, per armeggiare la pellicola serviva perfino una patente che veniva rilasciata dalla Prefettura dopo esami teorici e pratici.
Il Nuovo Cinema Paradiso che ci ha raccontato Giuseppe Tornatore nel 1990 non è scomparso da molto.
Le pizze di pellicola sono stata l’anima delle sale fino a circa 3 anni fa. Oggi i film arrivano su di un hard disk. Basta inserire il disco nel server del proiettore, scaricare il contenuto ed attendere che da qualche parte del mondo, un laboratorio generi una KDM, ovvero un codice necessario a sbloccare il film per il periodo contrattualizzato con la distribuzione. E’ tutto terribilmente veloce e freddo. Nonostante non sia esterno al mondo dei computer e dell’informatica, non ho mai voluto imparare ad accendere un proiettore digitale.
Metri e metri di pellicola viaggiavano in scatole di ferro e di plastica e prima d’iniziare la proiezione, l’operatore doveva attaccare (tecnicamente sarebbe più corretto dire ‘giuntare’) le pizze e avvolgere la pellicola su bobine. Un bobina era in grado di contenere circa 1 ora di film.
Terminata la proiezione occorreva riavvolgere nuovamente il film o ‘smontarlo’ per rimetterlo nelle pizze perché il corriere, che è in possesso delle chiavi della cabina di proiezione, passa sempre alle prime ore del mattino.
Per montare, smontare e riavvolgere il film solo negli ultimi anni è arrivato un avvolgi film elettrico. Prima si riavvolgevano a mano. Quante ore trascorse a riavvolgere pellicola.
Dietro la cabina di proiezione si muovevano diverse persone. Non eravamo in molti, 3/4 persone, ma alla fine riuscivamo ad organizzarci e a divertirci. Nei pochi metri quadrati avevamo costruito un nostro mondo. Di certo non mi sarei mai immaginato nel lontano 1997 quando per la prima volta ho curato la proiezione del film “Una promessa è una promessa” che il mondo del cinema sarebbe da li a poco diventato parte integrante della mia vita. Dal 2000 infatti lavoro in questo settore.
Proiettare era complicato. Serviva prestare molta attenzione e avere una buona pratica. Bisognava essere pronti a gestire qualsiasi situazione che si poteva venire a creare. La pellicola, che contiene anche la traccia audio, va montata in un modo molto preciso, con dei laschi ben calibrati. Una lampada può sempre bruciare, una giunta saltare, un fuori-quadro far arrabbiare qualche spettatore.
Sono stati anni magici per noi ragazzi. Quando ho messo piede in cabina avevo solo 17 anni. E non ero il più giovane. Ci sono stati ragazzi con cui ho condiviso quel periodo. Tanti amici. Qualcuno ha concluso con me la sua gloriosa avventura dietro un proiettore della Cinemeccanica, qualcun altro invece si è stancato prima. A molti di loro ho insegnato i trucchi del mestiere.
Tra questi ragazzi c’era Francesco. Francesco Migliorino.
Francesco non è più con noi dalla scorsa estate. Ricordo quando c’eravamo salutati durante una festa dell’oratorio prima della sua partenza per l’Australia. Avevamo bevuto una birra insieme.
La notizia mi è giunta mentre rientravo dalle Dolomiti dov’ero stato ad arrampicare qualche giorno. Ho faticato ad accettare la cosa.
I ricordi sono tornati ai tempi delle pellicole e delle proiezioni che avevamo condiviso. Arrivato a casa ho cercato delle fotografie di quel periodo. Avevo qualche scatto fatto durante l’organizzazione di Apriticielo, la rassegna di cinema all’aperto che organizzavamo in collaborazione con il Comune nel cortine della Biblioteca. Montare lo schermo, il proiettore e rendere operativo quello spazio ci richiedeva qualche giorno di tempo. Spesse volte durante i lavori ci attrezzavamo per mangiare una pasta li sul posto. C’era Ciccio che cucinava per tutti.
Nelle foto che conservo sul pc non ne ho trovata una con Francesco, così come non ne ho trovate con altri ragazzi. L’ultimo scatto che il computer mi ha mostrato è stato lo schermo di Apriticielo, tutto bianco, con le persone che attendevano l’inizio della proiezione.
Quello schermo attendeva/attende che qualcuno avviasse/avvii il proiettore. In ogni sala c’è uno schermo bianco impaziente di ricevere fotogrammi colorati. Ogni schermo bianco terrà vivo il suo ricordo.

domenica 31 gennaio 2016

10 ANNI

10 ANNI
di Matteo Will Bertolotti

E’ buio e la lampada frontale emette un fascio di luce debole. Sono uscito di fretta, all’ultimo minuto come mio solito e le batterie di ricambio sono rimaste sulla scrivania. Non serve molta luce, stiamo camminando sull’asfalto della vecchia strada che da Alzano sale all’abitato di Burro. Le macchine qui non passano più da anni e la corsia è abbastanza stretta.
Sta piovendo e il rumore dell’acqua che mi circonda mi regala un piacevole senso di rilassamento.
Al mio fianco c’è Luca e poco più indietro altri amici. Siamo in tanti ma saliamo in ordine sparso, ognuno con il suo passo.
Noi siamo tra gli ultimi del gruppo e tutto sommato non mi dispiace. Aumento o diminuisco il passo come più mi aggrada perché questa sera non c’è fretta.
Prima di intravedere le luci delle prime case ricevo una telefonata ma fortunatamente non si tratta di lavoro. E’ amico che ci sta raggiungendo.
Non appena entro nella piccola frazione la pioggia aumenta, qualcuno cerca riparo sotto il porticato della chiesa, dove un presepe illuminato attira l’attenzione anche di chi ha smesso di credere.
Ci fermiamo per una ventina di minuti, giusto il tempo di ricomporre il gruppo. Riconosco qualche vecchio amico che non vedevo da tempo e solo allora prendo coscienza che sono trascorsi 10 anni.
La camminata continua, ora lungo un sentiero umido e scivoloso. Qui un paio di signore che indossano calzature poco adatte progrediscono con difficoltà. Dopo una ventina di minuti raggiungiamo una piccola grotta, posta in corrispondenza di un tornante. Una madonnina addossata alla parete pare dominare la valle. Intorno a Lei ci sono diverse fotografie, alcune vecchie e sbiadite; dall’altra parte della grotta c’è la fotografia di Livio. E’ stata posata in disparte, quasi a voler dipingere la sua personalità su questa parete di calcare: quella di un ragazzo schivo, silenzioso e deciso.
Intorno si radunano gli amici, ne ho contati più di ottanta prima di perdere il conto. Mi metto in disparte alla ricerca di un po’ d’intimità: questa sera ne avverto il bisogno. Paolo si avvicina e mi offre del tè ma non si accorge che i miei occhi sono completamente rossi.
Qualche parola, qualche canto, qualche saluto e la gente inizia a ridiscendere. Io resto li, immobile, quasi paralizzato.
Solo quando gli amici sono ormai lontani mi decido ad avvicinarmi alla fotografia e salutare l’amico. Respiro profondamente e in un lampo vedo scorrere anni di vita, di amicizie, di viaggi, di pareti, di arrampicate. Il tempo non si è proprio fermato. Quando ripenso alla Val di Daone e al terribile 26 dicembre 2005 ho immagini chiare, precise, lucide. Ho sempre l’impressione che tutto sia accaduto l’altro ieri ma non è così. Stasera più che mai ne prendo coscienza. Mi rendo anche conto che gli insegnamenti che ho ricevuto da Livio, dapprima come direttore del mio corso di roccia e poi come compagno di cordata, mi hanno sempre accompagnato, sia in parete che nella vita.
E tutto ciò è fantastico.