domenica 1 dicembre 2013

10 ANNI DI RELAZIONI

1 DICEMBRE 2003 - 1 DICEMBRE 2013
10 anni di click!

Grazie a tutti i visitatori che solo nel 2013 ci hanno regalato più di 5.000.000 di contatti,
Grazie a tutti gli amici che ci hanno mandato una mail, scritto un pensiero sul "Libro di Vetta" o semplicemente chiesto maggiori informazioni,
Grazie a chi ci ha salutato all'attacco di una via, lungo un tiro di corda o durante una serata in rifugio,
Grazie a tutti quelli che non hanno lasciato traccia ma che sono tornati a consultare questo grande archivio,
ma il Grazie più grande va a tutti i nostri compagni di cordata o di camminata. Le loro vite si sono intrecciate alle nostre... ed è stato magnifico!



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sabato 20 aprile 2013

LA VALLE DEL SARCA


Ci sono luoghi in grado di catturare i bambini. I loro occhi ben aperti e la bocca spalancata spesso vengono immortalati dai loro genitori con lo scopo di ricordare al figlio, dopo molti anni, la felicità di vivere.
Sono anni in cui tutto scorre sereno, dove una valle, un corso d’acqua e un senso d’infinito sono sufficienti per regalare un sorriso, stimolare una corsa, intonare una canzone.
Passano gli anni e questi bambini sentono la necessità di cercare nuovamente la felicità. Qualcuno ci riesce, qualcun altro ha bisogno della chimica. Tutti spesso si dimenticano di quanto la capacità di stupirsi del quotidiano sia una piccola fetta di felicità che va riscoperta.
Nella Valle del Sarca sono tornato bambino. Nella Valle del Sarca mi stupisco ogni passo che faccio. Nella Valle del Sarca corro inseguendo i colori di un giorno qualsiasi che vale più di quello già trascorso.
A giorni in libreria arriva una testimonianza. E’ l’amore di Diego per questo mondo. E’ lo stupore di un ragazzo cresciuto in questa terra. E’ il mio stupore davanti alla nostra amicizia.

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ARCO PARETI
di Diego Filippi
Versante Sud

INTRODUZIONE
di Matteo Bertolotti


I caldi raggi del sole mi fanno sudare dopo soli cinque minuti di cammino sul ripido sentiero, che mi porta alla base di una fessura colma di chiodi vecchi e insicuri. La luce colora la parete d’infinito come infinita appare questa linea strapiombante che sale verso il cielo. Oggi tutte le nostre preoccupazioni e i nostri pensieri svaniranno e questa salita c’insegnerà a respirare e a bastare a noi stessi.
Diverse volte dalla cengia del piccolo Dain mi sono ritrovato con il naso all'insù per tentare di immaginare lo sguardo di Angelo Ursella che, quel giorno, inseguiva l'immortalità.
La linea che stiamo per ripetere è una delle più vecchie aperte in valle, ma di certo per me è e resterà la più affascinante. Le staffe e un duro lavoro di carpenteria sono gli ingredienti necessari per progredire. Oggi tutto suona decisamente fuori moda ma fieri di essere controcorrente procediamo sino a uscire in vetta. Lo spettacolo è unico. Da questa sosta appesa, un vento freddo raccoglie le nostre emozioni e le porta verso l'imbocco della valle, dove il clima è più mite e il lago le culla dolcemente. Da questa sosta pare di dominare l’intera valle. Generazioni di alpinisti hanno inseguito fessure e forzato strapiombi, ma soprattutto, regalato sguardi alla montagna.
Qui grandi uomini hanno tracciato indelebili linee di salita. Detassis utilizzò persino un chiodo da ghiaccio per superare l'estetica Canna d'Organo. Qui itinerari classici si alternano a quelli sportivi. L'artificiale abbraccia gli innovativi itinerari tracciati e curati dal creativo Heinz Grill, mischiandosi ai segni di chi non vuole lasciare tracce.
Tutte queste montagne, tutte queste linee non sarebbero nulla se non ci fossero gli uomini con i loro sogni. Sogni che scolpiti dal nostro io e cullati dalla condivisione con il compagno di cordata, ci conducono verso un qualcosa d’indecifrabile per la maggior parte delle persone ma estremamente nitido per l’alpinista. E sono proprio i rapporti tra le persone, e le conseguenti condivisioni che nascono durante l’arrampicata a trasformare una semplice salita in qualcosa di unico.
La valle del Sarca è un mondo fantastico, fatto di luci e colori, fatto di sogni e di desideri. La valle del Sarca è tutto... e niente.
Descrivere una Valle non è semplice. Bisognerebbe raccontare delle persone che l’hanno frequentata, delle persone che l’hanno amata e la amano ancora. Bisognerebbe raccontare di gente che con la semplicità di un bambino riesce ancora a trovare nuove linee, nuove avventure.
La storia di Diego è quella di uno dei tanti innamorati della valle; per me sei anni fa lui rappresentava una fotografia su di un libro pieno di disegni che raccontano salite a volte per me troppo difficili, e oggi, un Amico con il quale ho condiviso tante avventure verticali. Sicuramente il dono più grande che la Valle del Sarca mi ha dato.
Dire che Diego è innamorato della Valle è riduttivo. E’ un’affermazione che non trasmette la passione che si sprigiona ogni giorno quando da Sopramonte Diego scende in questo mondo magico. Arrampicare, camminare, salire una ferrata o sistemare un sentiero d’accesso non ha importanza. L’importante è alzare lo sguardo su queste pareti e iniziare un dialogo con loro.

Occupare questo spazio, con la consapevolezza di essere stato preceduto da due grandi alpinisti come Samuele Scalet e Maurizio Giordani è un onore per me troppo grande. Un onore che solo un Amico ti può concedere.

domenica 7 aprile 2013

E' POSSIBILE TRAMANDARE LA PASSIONE PER L'ALPINISMO?

Interessante convegno che si è svolto a Valmadrera lo scorso 6 aprile con numerosi ospiti presenti. Diverse persone importanti. Diverse persone che occupano spazio nella mia libreria.

Il punto di partenza per le mie conclusioni parte proprio da una frase di Ivo Ferrari. "Io vado in montagna, io arrampico per me stesso". Delle persone presenti (Alessandro Gogna, Ivo Ferrari, Elio Orlandi, Marco Anghileri e Ivan Guerini) solo Ivo ha avuto il coraggio di esternarsi così profondamente. Sono però pienamente convinto che tutti loro hanno fatto il loro percorso unicamente per loro stessi. Se non fosse così... perchè l'Ivan Guerini ha lasciato la Val di Mello dopo che ha iniziato ad essere frequentata?
Il tramandare una passione però non è un'azione che si compie volutamente. E' il proprio io a lasciare una traccia. Mi spiego meglio:
Alessandro Gogna. Un grande della storia dell'alpinismo. Uno che ha cavalcato diverse epoche. Dagli scarponi ai piedi alle scarpette sulle placche lisce del Tempio della Magia. Eppure Alessandro, con le sue imprese (Prima solitaria della Cassin alle Walker, prima invernale alla nord est del Badile, ecc...) ha fatto sognare tante persone. Con i suoi libri (ha anche fondato una casa editrice) ha tramandato la storia. La sua e quelli di altri venuti prima di lui. Senza la conoscenza della storia. Senza il rispetto di chi ci ha preceduto non possiamo guardare al futuro.
Ivo Ferrari è uno schietto. Parla a braccio e con semplicità. E' l'uomo che mi conquista più per i suoi silenzi mediatici. Eppure con le sue solitarie e le sue avventure sulle Pale di San Lucano hanno qualcosa di eccezionale. Le emozioni fermentano dentro di lui e dopo qualche tempo compaiono brevi racconti su facebook (e solo dopo sul notiziario del CAI di Bergamo) che sono in grado d'intrappolarti e di condividere con lui la salita.
Elio Orlandi. E' l'alpinista che conosco di meno. La sua attività in Patagonia è notevole ma dentro di me porto una voce tremolante ad una edizione del festival di Trento dove ricorda l'amico Cesarino Fava. Ed è nell'ultimo suo viaggio in Patagonia che Elio m'intrappola: La ricerca dell'amico travolto da valanga sino allo stremo delle forze. Il compagno di cordata. La cosa più importante che ci sia. Più della via, della vetta.
Marco Anghileri. Marco Anghileri racconta le sue avventure sulle montagne di casa. Lo fa postando su dei forum e catturando tanti lettori. Le avventure sono tra le più varie. Dalla ripetizione di 6 vie Cassin in una sola giornata ad un grande concatenamento al Medale. 2000 metri sopra il lago è la prova che Marco ha una storia d'amore bellissima con le montagne che lo avvolgono. E' follemente innamorato e come un'adolescente le racconta agli amici. Lo ammiro perchè insegna che l'avventura e la novità sono alla portata di tutti. Basta indossare occhi da sognatori.
E infine c'è l'Ivan Guerini. E' la seconda volta che sento una sua conferenza e questa volta ne esco meno sconvolto dalla prima. E' un uomo di cultura e spesse volte faccio fatica a tenere il passo mentre parla. Ma quest'uomo ha una filosofia di vita che insegna al rispetto. Alla natura prima di tutto alla semplicità poi.

Chi ha scelto i relatori è stato bravo. Non era assolutamente facile. Conosco alpinisti che ricoprono posti importanti nel grande libro della storia dell'alpinismo. Uomini che raggiungono gli 8000 in inverno e poi mentre si trovano dall'altra parte del mondo, in un terribile 27 dicembre 2005 mentre tu stai vivendo un lutto fortissimo trovano il tempo per scrivere le 10 regole per scalare in sicurezza una cascata di ghiaccio e farle pubblicare sul giornale a fianco alla fotografia del tuo amico che non c'è più. E' come violentare una seconda volta una donna stuprata. Oppure alpinisti che portano un maglione rosso importante e che hanno pure la patacca di accademico che su una rivista importante come Meridiani e Montagne rubano una mia relazione e la pubblicano a loro nome. Cosa possono trasmettere queste persone? Io non posseggo risposta.

Durante la serata i cinque si sono confrontati e scontrati. E' giusto così. Ognuno di loro sta aprendo una nuova via su una grandissima parete nord. Un giorno arriverà qualcuno che trovando la parete gradinata ripeterà la via qualunque essa sia. Si, la ripeteranno perchè gli apritori avranno lasciato le loro tracce.

giovedì 28 febbraio 2013

IL SILENZIO DEI COLORI



IL SILENZIO DEI COLORI
di Matteo Will Bertolotti


Il termometro che da sotto la tettoia guarda gli inverni passare lentamente, questa mattina mi consiglia di ritornare sotto le coperte. All’ora in cui tutti ancora dormono la lancetta non ha raggiunto lo zero. Intorno a me tutto risplende grazie alla neve che nei giorni scorsi è arrivata sino in pianura. Ignoro il consiglio del caro amico e, carico di ferramenta e corde, scendo a fatica gli scalini stando attendo a non inciampare.
Il rumore di un motore che lentamente sia avvicina mi fa capire che il mio compagno di cordata anche oggi ha tenuto fede all’appuntamento dato. La radio sta trasmettendo una vecchia canzone di Ligabue quando, sicuri dell’avventura che stiamo per vivere, lasciamo il paese.
La Gardesana è completamente libera e frettolosamente ci conduce nella grande e solare Valle del Sarca. Arco di Trento con la sua gente si è da poco svegliata e un ragazzo con un maglione rosso, forse reduce da una serata in discoteca, ci chiede una sigaretta mentre lasciamo il bar, dove un caffè ci ha risvegliato.
Mandrea è un’imponente fascia rocciosa che si nasconde dietro il castello che sovrasta la città e che da secoli vigila su queste pareti e sulle formiche che le salgono. La strada ora è coperta di neve. In breve raggiungiamo il parcheggio, dove scopriamo di essere soli.
Anni fa, in questo stesso luogo e sempre con Luca scoprivo la valle. Ai tempi era per noi un mondo nuovo e una linea di fessure e camini cadeva sempre nei nostri desideri. Oggi è una parete strapiombante a catturarci.
Il vento ci ricorda che l’inverno non se n’è ancora andato e ci suggerisce un abbigliamento pesante.
Troviamo senza difficoltà l’attacco e lentamente iniziamo a salire. Con due lunghezze di corda siamo alla base del grande strapiombo. La progressione atletica ora mi scalda, mi rimette in circolo il sangue. Una protezione dopo l’altra mi consente di progredire anche se molto lentamente. Qui come nella vita supero le difficoltà che ho davanti. Non ho vie di fuga. Devo solo respirare e guardare in alto. Un passo. Un altro, e poi un altro ancora. Dopo circa mezz’ora raggiungo la sosta. All’improvviso si alza l’Ora; il vento che da Sarche soffia verso il lago. Qui il vento ci avvolge e questa piccola porzione di parete diviene infinita. Finalmente mentre recupero Luca, trovo il tempo per voltarmi e sbirciare dietro alle mie spalle. La neve e il silenzio che avvolgono la valle iniziano a dialogare con me.
L’amico mi raggiunge; scavalca la scomoda sosta e continua la sua salita verso il cielo.
Finito lo strapiombo, l’orologio ci riporta alla realtà. Le lancette non hanno risentito della temperatura rigida. In parete, a volte, si ha l’impressione che tutto si fermi, ma basta uno sguardo per capire che questa giornata è troppo importante perché possa essere lasciata a metà. Continuiamo a salire. Il giorno s’inchina alla notte quando oramai ci stiamo abbracciando sulle rocce terminali. In breve siamo al sicuro sulla strada carrozzabile che sale verso la piccola frazione di San Giovanni. Un pizzico di prudenza ci suggerisce che è meglio evitare il sentiero esposto che scende lungo la parete.
Ci incamminiamo lentamente lungo i 10 Km. che ci riportano alla civiltà, felici delle emozioni provate e condivise. Sopra di noi inizia a cadere qualche fiocco di neve e, il silenzio è interrotto solo da alcune macchine che salgono affannosamente verso una danza di bicchieri e bottiglie, noncuranti di due sognatori ancora estasiati.
Davanti a noi tanto asfalto. Davanti a noi una lunga e lenta camminata. 10 Km. per sognare ancora. 10 Km. per gustare con la dovuta calma le emozioni provate. 10 lunghi Km. per ripetersi che l’importante è bastare a se stessi. 10 lunghissimi Km. per parlare ancora di un sogno che lentamente prende forma.







domenica 10 febbraio 2013

VENTANAS



VENTANAS
di Matteo Will Bertolotti

L’ultimo raggio di sole s’è andato senza dire arrivederci, scomparendo diedro l’imponente vetta che sovrasta le nostre teste.
Da poco ho consumato il cibo che mi sono trascinato fin quassù. Con Luca abbiamo smezzato una barretta di cioccolato con la speranza di addolcire questa notte, che si annuncia fredda e intensa. Il vento soffia forte lungo questa valle dimenticata dal mondo. Il vento si prepara a darci la buonanotte. Su questa grande terrazza d’erba non siamo i soli. In questo sabato sera d’inizio luglio altre persone come noi hanno deciso che si potesse tentare questo imponente spigolo. Uno spigolo dove la fama della sua lunghezza precede la sua particolare bellezza. Una bellezza nascosta che appare solo alle persone che riescono ad andare oltre al semplice gesto dell’arrampicata. Una bellezza che spesse volte Luca ed io andiamo cercando.
Sono stati i 1620 metri di sviluppo e l’eco della via più lunga delle dolomiti, a innescare in noi, piccoli arrampicatori della domenica, la voglia di salirlo. Lungo questi metri di roccia e di erba però c’è dell’altro.
Tra poco vivremo il nostro secondo bivacco in parete. In mezzo a questi mughi siamo riusciti a trovare dei piccoli spazi e qui, mentre aspettiamo che la nostra stanchezza abbia il sopravvento, siamo completamente rapiti dal cielo stellato. Intorno a noi solo stelle. Milioni di luci sembrano che si siano accese apposta per darci la buonanotte o forse per farci sentire meno soli. Il paese è molti metri più in basso e le luci delle strade non arrivano fin quassù. Luca ed io cerchiamo d’identificare qualche costellazione ma ben presto ci ritroviamo a condividere i nostri progetti, fondati su sogni comuni. Vie impegnative si alternano a lunghi viaggi in giro per il mondo. Insieme, sotto questo cielo cerchiamo di progettare il nostro futuro, consci del fatto che l’imprevedibilità delle nostre giornate ne è il più bel regalo.
Prima di chiudere occhio mi passa per la mente il ricordo di un ragazzo che non ho mai conosciuto e che mai potrò incontrare. Un libro trovato in un mercatino dell’usato me l’ha fatto conoscere. Il suo nome è Angelo e su questo spigolo è salito da solo. Un pomeriggio, dopo aver lavorato a lungo, è salito sulla sua 500 e arrivato sino a questa valle isolata, protetta dalla Croda Grande e dalle Pale di San Lucano. Dopo aver dormito poche ore su scomodi sedili si è incamminato lungo i ripidi prati che conducono alla roccia e da qui sino alla vetta con uno zaino pesante come compagno di cordata. Spesse volte si è ritrovato ad arrampicare senza un compagno, in solitudine. Spesse volte la solitudine, con la quale aveva imparato a dialogare, l’ha reso una persona migliore. I suoi scritti ne sono la testimonianza. Questo giovane ragazzo oggi non c’è più. Ha chiuso gli occhi per l’ultima volta sull’Eiger quando, all’età di ventitré anni, in compagnia di Sergio De Infanti inseguiva un sogno.
Mi sono avvicinato a De Infanti una sera, al termine di una conferenza a Tolmezzo. Gli ho chiesto di raccontarmi qualcosa su Angelo Ursella che non potessi leggere nei libri. Dopo qualche tentennamento mi ha risposto “mi manca da morire”. Queste parole, ora, mentre cerco un po’ di sonno si amplificano dentro la mia testa. In quelle poche e semplici parole è racchiuso tutto il mio significato di alpinismo. Se volessi ulteriormente riassumerle, potrei utilizzare una parola sola: condivisione.
Ora questa scomoda terrazza assume il confort di un albergo a cinque stelle. Ora il vento rapisce i miei ricordi e li trasporta lontano, verso le grandi pareti. Ora m’appresto a vivere le emozioni forti di domani.

* VENTANAS in spagnolo significa finestre.




giovedì 7 febbraio 2013

POST NOTTURNO

Prima di prendere sotto ho sfogliato qualche pagina di Facebook... e mi sono ritrovato tra le mani queste parole di Enrico Camanni che regalo a mia volta ai pochi lettori fissi di questo blog!


La montagna è una febbre che ti prende da giovane e ti resta dentro, anche se il mondo va cambiando intorno a te, anche se i muscoli un giorno dicono basta e la famiglia reclama i tuoi spazi, e forse altre ragioni di vita meno egoistiche e più nobili vengono a sovrapporsi nel corso del tempo. Nonostante tutto alpinisti si resta, e da alpinisti, fino all’ultimo, si continua ad osservare le montagne con sguardo obliquo, cercando vie di salita, vagliando i colori e la grana della roccia, soppesando le condizioni del ghiaccio nell’algida luce di un’alba o nel riverbero di un tramonto. L’attaccamento alle pareti non si misura con gli anni e forse nemmeno con l’azione. Si misura con la passione. Questo è il fantastico, enigmatico, umanamente folle e follemente umano fascino della montagna, dove non ha senso ciò che si vede, ma solo quello che non si vede. Quella fiammella che gli alpinisti si portano dentro cercando di non scottarsi troppo.