domenica 29 luglio 2012

SOLO

Mi perdo con lo sguardo all’orizzonte. Non conosco nemmeno il nome del monte che ho di fronte ma “senza chiedere permesso” e soprattutto senza rendermene conto mi isolo su questa piccola vetta da due metri quadrati perdendomi nel mio infinito.

Alla mia destra una vecchia sosta a chiodi con un groviglio di cordini di dubbia tenuta. Alla mia sinistra una nuova sosta a fix. Due epoche a confronto e io seduto nel mezzo a cavalcarle. I miei compagni sono 50 metri sotto di me, alla base della parete. Dovrei raggiungerli quanto prima ma con un po’ di presunzione rubo il loro tempo e me ne approprio.

Abbiamo salito una nuova linea. Nuova per noi quantomeno. Ieri dalla Cavalcata del Tricorno il Pilati ha adocchiato una fessura, un camino, uno spigolo, un’avventura. Oggi, dopo aver risalito il ripido vajo abbiamo giocato con la roccia e la sua intimità.

La via è breve ma tutti noi abbiamo potuto metterci in gioco con un terreno dove le certezze non esistono. Dove un passo ne segue un altro con una tranquillità che insegna a respirare.

Gradi, difficoltà e tutte le altre puttanate ora non m’interessano. Tra qualche giorno scriverò una relazione, Diego farà certamente un disegno. Forse un giorno verrà anche ripetuta ma nessuno potrà mai appropriarsi o comprendere le emozioni che questa giornata ci sta regalando. La salita è stata condivisa. Insieme, tutti e tre, abbiamo arrampicato. Cosa si può chiedere di più?

Chi beve birra con me sa che l’ammirazione che ho verso Ettore Castiglioni è qualcosa di anormale, per certi versi maniacale… e in questo momento non posso che non pensare a lui e all’incidente che lo costrinse a trascorre da solo diverse ore sull’altopiano delle Mesules. Per lui fu una gioia; un dialogo infinito con la montagna. Altri tempi. Altri giorni grandi.

Ora è tardi e devo scendere. Sono contento e nulla in più posso chiedere a questa giornata. I miei amici continuano a sorridere e a scherzare come due fratelli. Insieme ridiamo fino a tarda sera. Insieme, seduti ad un tavolino con la tovaglietta rossa, progettiamo il nostro futuro.


martedì 24 luglio 2012

FRECCIAROSSA 9610

FRECCIAROSSA 9610

Lentamente sui chiodi a pressione della via Cismon ’85 alla Cima Campiglio

Frecciarossa 9610. Ore 6.50. Bang on time direbbero gli inglesi. Il treno viaggia con una precisione assoluta. Il mio occhio cade sul monitor del corridoio dove Trenitalia, con un po’ d’orgoglio, informa silenziosamente i viaggiatori che il convoglio sta viaggiando a 300 Km orari. Stratosferico penso tra me e me. Velocità mai raggiunta prima. Milano-Roma in poche ore; meno di quelle che richiederebbe un viaggio in aereo.

E’ mattina presto e le poche ore di sonno della scorsa notte s’impadroniscono di me con molta facilità. Mentre sto per chiudere anche la seconda palpebra, un sorriso mi si stampa sulle labbra e la mente mi riporta alla domenica precedente e alle ore che ho trascorso immobile attaccato alla parete.

Lo spazio dell’arrampicata: un posto dove l’unica velocità costante è quella della lancetta dell’orologio che segna i secondi. Secondi che diventano minuti. Minuti che diventano ore.

Non so che ora sia e non ho voglia di scoprirlo. So solo che sta piovendo a dirotto da diverso tempo e che Paolo è intento a giocare con la telecamera cercando di registrare emozioni. Io sento freddo alle mani e con forza sempre maggiore… quasi a sperare di aumentare la circolazione del sangue… tengo strette le mezze corde che mi legano ad Ermanno. Ermanno è un tipo forte. Uno che non ha paura del meteo. Uno che non ha paura delle lancette. Una volta ha passato 72 ore immobile attaccato ad una parete che la mia mente ha spesso sognato.

La sveglia è suonata alle 4 e tutta la notte ha piovuto a dirotto. Dopo aver indossato i calzini, sono quasi sicuro che ben presto ritornerò sotto le coperte perché sono certo che né Ermanno né Paolo vorranno salire al Rifugio Brentei con questo meteo.

Mi sbaglio di grosso e ben presto inizia il breve viaggio verso Vallesinella.

Ultimamente gioco con le staffe. Il mondo capovolto mi piace e non so dire il perché. Qui tutto funziona in maniera strana. Non so che cosa effettivamente mi piaccia di questo lavoro di carpenteria. So che ogni salita è una festa. So che ogni volta che infilo il piede nella staffa sono felice. Condividere la felicità di una salita con i miei compagni di cordata è tutto quello che chiedo alla montagna. Con Paolo e Luca abbiamo recentemente ripetuto la via Istantes al Monte Cimo. Le protezioni sono buone ma nonostante tutto il libro di via vanta poche firme quasi a testimoniare l’assoluto disinteresse verso questa disciplina. Il giorno dopo la ripetizione Ermanno al telefono mi rimprovera di non averlo invitato e così è lui a lanciare il dado per il weekend successivo.

La via che stiamo salendo è impegnativa. I chiodi a pressione sono artigianali e costruiti dall’apritore durante gli anni di servizio nell’aereonautica. Umberto Marampon impiegò ben 4 giorni per salire e chiodare, rigorosamente a mano, queste cinque lunghezze di corda. Cinque lunghezze che fanno passare la voglia di ripetere Vertigine al Monte Brento. Cinque lunghezze per ricordarci che il tempo scorre sempre uguale e che l’uomo deve viverlo al meglio. Cinque lunghezze che sfidano il vuoto per ricordarci che l’alpinismo ha diverse facce e che ognuno di noi sceglie quella che preferisce. Cinque lunghezze impegnative che ci insegnano che in montagna, come nella vita, tutte le difficoltà vanno affrontate con decisione.

Il silenzio che circonda la valle viene rotto dall’urlo gioioso del mio compagno che finalmente ha raggiunto la sosta. Mollo le corde e con velocità ne facilito il recupero ad Ermanno. Paolo sale davanti a me e in breve siamo sotto il grande tetto di nove metri. I chiodi sono distanti e qui inizia la nostra acrobazia. Lentamente, a volte dondolando, a volte mettendoci orizzontali e paralleli alla parete progrediamo. Nella mia mente non c’è nulla. Non un pensiero, non una preoccupazione. C’è solo il mio animo felice. Raggiungo la fine del tetto e un sospiro esce dalla mia bocca. Sotto di me non c’è nulla. Il vuoto totale. Le nebbie che per ore ci hanno protetto lentamente si alzano. La pioggia smette di cadere e il rifugio Brentei che ancora custodisce l’anima del grande Bruno Detassis ci saluta. La valle è completamente deserta e solo un paio di escursionisti armati di mantella rossa ci notano e ci guardano incuriositi. Ora la parete strapiomba ancora ma il tratto più impegnativo è superato. Le due lunghezze che ci separano dal sentiero delle bocchette ci richiedono ancora parecchio tempo, ma non ha importanza. Il Crozzon di Brenta fa il suo ingresso e sorride al pensiero che esista ancora qualche pazzo interessato a correr dietro ad una fila di chiodi. Noi lo salutiamo con un inchino.

Scendiamo a Vallesinella abbastanza in fretta. Una tappa al Rifugio Casinei per porre fine a una sete tremenda.

Lasciamo Ermanno alla sua piccola casa sperduta nel bosco di Massimeno e salutiamo i caprioli e le caprette che quotidianamente si prendono cura di lui. Il viaggio verso Bergamo prosegue lentamente e senza intoppi. Domani sarà un altro giorno. Domani sarà un’altra avventura.

sabato 21 luglio 2012

DI CHI FU LA PRIMA TRAVERSATA SCIALPINISTICA DELLE ALPI

Venerdì un amico, conscio della mia piccola biblioteca, mi chiede di far luce su chi effettivamente ha effettuato la prima traversate in sci delle Alpi. Bruno Detassis o Walter Bonatti?

RESOCONTO BRUNO DETASSIS:

La sera del 19 maggio 1956 Bruno e Catullo Detassis, Alberto Righini, Fortunato Donini e Giulio Dellagiacoma piantarono le tende al Col di Nava, sul confine tra Piemonte e Liguria, scesero in auto sulla spiaggi di Alassio e fecero un bagno in mare. Avevano appena portato a termine un formidabile raid bianco di 1700 chilometri attraverso la catena alpina, superano 136.000 metri di dislivello e realizzando, insieme ad un secondo gruppo che comprendeva Walter Bonatti, Luigi Demettis, Alfredo Guy e Lorenzo Longo la traversata scialpinistica delle Alpi.
[…]
L’idea di una travesata integrale delle alpi sulla scia di Hautes Routes di Marcel Kurz e di Sepp Brunhuber, maturò però a Campiglio solo nel 1955. Il progetto iniziale fu elaborato in quell’anno dal milanese alberto righini, che ne fece subito partecipi Catullo, Bruno e Walter Bonatti, reduce dal K2, che in quel periodo si trovava a Campiglio, ospite di Bruno, per prepararsi agli esami da maestro di sci. La traversata secondo gli accordi, avrebbe dovuto svolgersi nell’inverno successivo con finalità puramente sportive. Si chiese quindi aiuto al cai di monza che, inizialmente interessato, scelse però di ritirarsi dall’organizzazione. In quel momento d’incertezza, righini confermò a Bonatti l’intenzione di effettuare il raid e insistette sulla necessità di collaborazione reciproca. Per tutta risposta il 22 febbraio del 56, con una lettera all’amico righini, Bonatti ruppe di sua iniziativa gli accordi verbali intercorsi sino ad allora e annunciò che egli da quel momento sarebbe stato libero di agire come avrebbe meglio ritenuto. Pochi giorni dopo, walter bonatti annunciò alla stampa che avrebbe tentato la traversata della catena alpina con il patrocinio dello sci club di bardonecchia.
[…]
La sera del 10 marzo una telefonata da tarvisio informò i quotidiani milanesi dell’arrivo di Bonatti. Ma all’ufficio di frontiera i giornalisti poterono solo appurare che “si erano presentati tre alpinisti che dovevano sconfinare in qualche punto in territorio austriaco e poi in quello svizzero”. Il giorno dopo tutto fu chiarito. Al posto di Bonatti e compagni, erano giunti in sordina Alberto Righini, Catullo e Bruno Detassis. Silenziosamente avevano calzato gli sci, avviandosi in direzione del Passo di Pramollo. Il raid bianco era iniziato così senza l’annunciato clamore pubblicitario, ma la tenzone ingaggiata dal terzatto detassis-righini aveva dato nuovo fiato alla stampa, che aveva subito annusato odor di polemica. Qualche titolo dei giornali di allora ce lo conferma: “La solenne cerchia alpina non ama troppo la pubblicità” (la voce dello sport), “Di chi è la prima idea del raid bianco sulle alpi” (corriere d’informazione) e così via.
Saputo della partenza bruciante dei tre, Bonatti non perse tempo. Insieme a Dematteis, Longo e Guy, il grande scalatore partì da tarvisio alle ore 4.30 del 16 marzo diretto a ovest.
[…]
Iniziò così una entusiasmante contesa sportiva sui monti, come la definì subito u quotidiano. Bruno, Catullo e Alberto Righini davanti, Bonatti e gli altri inseguitori dietro, con sei giorni di svantaggio. Il terzetto di Bruno era seguito da Giulio Dallagiacoma e Fortunato Donini, che avrebbe assicurato i rifornimenti lungo la via risalendo le valli con l’automobile.
[…]
L’inseguimento ebbe termine al rifugio Maria Luisa in val Formazza, dove la pattuglia Detassis aveva dovuto fermarsi per maltempo. All’interno del rifugio, i due gruppi firmarono un accordo per completare congiuntamente la traversata, dal colle del teodulo al col di nava, pur mantenendo l’indipendenza organizzativa. Le due comitive macinarono così molti altri chilometri
[…]
Il 18 maggio fu una giornata memorabile per tutti. Nel tardo pomeriggio, Bruno, sganciò per l’ultima volta gli scarponi dagli sci. Era giunto sui prati verdi del Col di Nava a 930 metri di quota. Il giorno dopo, all’Alpe Monesi, i sette uomini furono festeggiati dai dirigenti del Cai e della Fisi.
[…]
Dopo la firma dell’accordo fra i due gruppi, anche la polemica sui giornali si sgonfiò. Ma Bonatti, nel suo resoconto dell’impresa, non fece cenno né della vicenda né di Bruno, Catullo e Alberto Righini.

RESOCONTO WALTER BONATTI:

[…]
L’idea di compiere la prima traversata sci-alpinistica delle alpi (riconosciuta ufficialmente tale dalla fisi), non nacque in modo tanto differente da qualsiasi altra di ogni giorno: per caso, nell’agosto del 1955, scambiando quattro chiacchiere di montagna con un occasionale conoscente, un certo Federico Rossi che purtroppo abbandonerà la partita ancora all’inizio della fase organizzativa.
[…]
Il grande itinerario, fatto studiare appositamente dal dottor silvio saglio del touring club italiao e quindi tracciato di massima dallo stesso, non doveva aver affatto la pretesa di creare vie nuove, bensì quella di percorrere i più classici itinerari sci-alpinistici già esistenti, collegandoli tra loro in un unico tracciato che nella realtà doveva rivelarsi di quasi duemila chilometri di lunghezza.
[…]
La partenza fu così stabilita per il 14 marzo dello stesso anno 1956: dal Monte Canin, ultima porzione di alpi giulie italiane, al Colle di Nava nelle alpi marittime.
[…]
E finalmente il 18 maggio, il Colle di Nava ormai fiorito dalla profumata primavera. Con veloci e capricciose emozioni, i nostri sci guizzano per l’ultima volta sulle belle nevi di Monesi, ormai in vista del mar ligure, e l’orma di ogni curva sembra voler significare un’ideale parentesi che chiude dietro di se la grande avventura. La traversata sci-alpinistica delle alpi è terminata, il mio fantastico polo è raggiunto.
Nel futuro indubbiamente si potranno fare infinite modifiche nei dettagli per rendere questa traversata più o meno ardita o sicura; rimane però la realtà affascinante dell’impresa, coerente in tutte le sue finalità. A noi la soddisfazione di averla compiuta per primi, agli altri la certezza di poterla ripetere. Difficilmente potranno trovare condizioni peggiori.